L’infinito della tragedia
La ginestra di Leopardi è preceduta da versi dell’Apocalisse “Καὶ ἠγάπησαν οἱ ἄνθρωποι µᾶλλον τὸ σκότος ἢ τὸ φῶς E gli uomini vollero piuttosto le tenebre che la luce” (Giovanni, III, 19).
La citazione denota il doppio movimento di Leopardi: costata la condizione umana, ma nel contempo non si arresta a verificarne la tragica condizione. La ginestra è un fiore che espande il suo profumo in un ambiente ostile, il profumo della ginestra sublima i lapilli, la polvere vulcanica, e non teme la minaccia perenne del vulcano che con un sussulto può strapparla via. La ginestra è il fiore della prassi, della trasformazione di energie negative in potenzialità positive, è il simbolo che la vita bella e virtuosa è possibile malgrado l’ostilità dell’ambiente di radicamento. La ginestra vive in un ambiente astratto e sterile, tutto intorno al fiore è solo grigio e pulviscolo, ciò malgrado non si adatta perfettamente al proprio ambiente, essa è portatrice di un’eccedenza, di una variabile non contemplata dall’ordine della natura. Porta con sé “l’infinito” con cui trascendere l’infelice condizione umana, non accetta le condizioni date da una natura ostile, ma il profumo ovvero il pensiero poetante può nutrirsi della tragedia umana per convertirla in salvezza.
Responsabilità
Responsabilità è la social catena. La parola responsabilità deriva dal latino respondere, ciascuno è portatore di un potenziale profumo che lo attrae e lo lega in una nuova bellezza. Ognuno risponde ed emana il suo profumo, se accoglie l’umanità, ogni vita è legata ad altra vita, lo spazio sembra dividere, ma il tempo della coscienza, se lo si ascolta unisce. Dinanzi alla tragedia umana ciascuno è libero di accettare passivamente la condizione umana, rinchiudendosi in una gabbia afona, o in alternativa può praticare la conversione del dolore in solidarietà, in riconoscimento della comune disgrazia a cui si è esposti. Non vi è condizione sociale o patria che possa salvare l’essere umano, solo la solidarietà che travalica ogni ideologia, classe, patria può porre le condizioni per “una nuova e buona vita”. Non si tratta di realizzare in terra un’ impossibile utopia, ma piuttosto di stringersi dinanzi alla comune sventura, alla comune fragilità a cui gli esseri umani sono esposti.
Umanesimo tragico
La gettatezza umana non è un dato naturale, ma una condizione che offre delle possibilità: l’umanesimo tragico si concretizza simbolicamente in un fiore che espande il suo profumo in una natura arida e bellicosa. Perché l’umanità possa espandere il proprio profumo deve passare l’esperienza del negativo, deve tenere lo sguardo fermo sulla comune sciagura, se è capace di non distoglierlo e di non fuggire dinanzi “all’arido vero”, il dolore può tramutarsi in profumo. La ginestra è la catabasi[1] leopardiana, il momento più alto di comunione con il genere umano. La comunione è discesa, congedo dalla propria solitudine abitata da fantasmi, paure e miti compensativi per incontrare nell’altro se stessi, per ristabilire la comunione solidale. Nella lirica l’io diventa un tu. La relazione scorre carsica nei versi, l’infinito diventa l’umanità, il finito (l’io individuale) contiene l’infinito (l’umanità). Leopardi discorre con l’umanità, la sua solitudine è trascesa nella partecipazione all’infinito che l’umanità rappresenta.
Social catena
La social catena è la risposta del poeta, dopo aver contemplato con l’immaginazione la sofferenza degli uomini e delle donne di ogni epoca fino a trasformare il dolore in visione immaginifica di salvezza senza illusione, nella consapevolezza che la realtà della natura è intrascendibile, ma il linguaggio può creare nella storia forme di resistenza comune per affrontare la sciagura di essere nati. L’umanesimo tragico di Leopardi si caratterizza per la sua immanenza, non vi saranno dei o casi fortuiti a salvarci, ma solo la consapevolezza dell’universale dolore può essere l’inizio per una umanità nuova. L’umanità solidale della Ginestra è un’umanità che non china il capo dinanzi al suo dominatore, ma non vuole dominare, si congeda dalla gabbia del dominio e del meccanicismo naturale mediante la solidarietà umana che scopre gli esseri umani eguali nella dignità e nella partecipazione[1]:
“Sotto il fascio mortal non renitente
Il tuo capo innocente:
Ma non piegato insino allora indarno
Codardamente supplicando innanzi
Al futuro oppressor; ma non eretto
Con forsennato orgoglio inver le stelle,
Nè sul deserto, dove
E la sede e i natali
Non per voler ma per fortuna avesti;
Ma più saggia, ma tanto
Meno inferma dell’uom, quanto le frali
Tue stirpi non credesti
O dal fato o da te fatte immortali”
Dinanzi al “naufragio” dell’esistenza è data la “grazia” della salvezza solo nell’io che incontra il “tu”.
[1] Catabasi gr. κατάβασις «discesa», der. di καταβαίνω «discendere»
[2] Giacomo Leopardi Canto XXXIV La ginestra