L’offensiva del regime di Kiev contro le regioni ostili alla nuova giunta imposta da un golpe insediato con l’appoggio di “volontari” neofascisti e con l’uso di milizie mercenarie filoamericane come la Greystone Service, cioè l’ex “Blackwater Usa”, una delle più importanti Pmc (Private Military Company) del mondo con ruoli di security contractor in Iraq per conto dell’Amministrazione Statunitense nonchè principale contractor del Dipartimento di Stato,[1] è un attacco imperialista in piena regola. Non a caso la comunità internazionale dopo aver bollato come secessioniste quelle regioni che in seguito ad un referendum hanno proclamato la loro indipendenza e dato vita alle Repubbliche popolari di Donetsk e di Lugansk (rispettivamente con l’89,7% e il 95% dei voti) ha avanzato la richiesta di sanzioni economiche contro Mosca che fin dall’inizio aveva sostenuto le popolazioni russe minacciate dal nuovo regime ucraino.[2]
Un tempo era relativamente facile espandere il proprio impero: la necessità di acquisire risorse, di ampliare la propria sfera di influenza (e di sfruttamento) economica e politica e di ottimizzare i propri interessi economici spingeva gli stati ad invadere un determinato territorio considerato strategico per il proprio sviluppo. Il metodo e le ragioni – che portarono ad esempio alla spartizione dell’Africa da parte delle potenze europee avvenuta alla Conferenza di Berlino del 1884, letteralmente a tavolino – erano sempre gli stessi: l’approvvigionamento (il saccheggio..) di risorse e materie prime necessarie alla conservazione e all’espansione del proprio impero economico e politico.
Oggi le ragioni sono fondamentalmente le stesse ma ci si nasconde dietro il velo ipocrita e sottilissimo alimentato ad arte dagli apparati mediatici, che spiegano come gli eserciti delle potenze occidentali e della NATO occupino la Serbia, l’Afghanistan, l’Iraq o altri paesi non per conquistare territorio utile al fine di mantenere e rafforzare il proprio status quo geopolitico o perché in questo o quel paese scorre petrolio oppure ancora perchè vi è un oleodotto/gasdotto di importanza strategica, bensì per «abbattere le tirannie che opprimono quei paesi e portare democrazia, pace e diritti umani», ovviamente con le bombe.
Ma le guerre costano, e le casse dell’Impero Americano non sono floride come un tempo. E’ più vantaggioso esportare l’American way of life con l’uso indiscriminato delle bombe oppure attraverso un processo di penetrazione culturale che promuova i «diritti civili» e i valori di una società liberaldemocratica fondata sulla celebrazione dell’individuo piuttosto che della collettività o della comunità?
Anche in termini di mera utilità, è senz’altro più conveniente promuovere un modello economico-sociale con mezzi “pacifici” piuttosto che con soluzioni militari (anche se incidenti di percorso possono sempre verificarsi): tutto di guadagnato sia in termini economici che, soprattutto, mediatici.
Le “rivoluzioni colorate”, scoppiate in Europa dell’Est con l’intento di eliminare quei sistemi e quegli stati che la “morale” occidentale e americana considera “ostili alla democrazia”, sono il nuovo strumento, 2.0 (dopo il fallimento e gli alti costi per la guerra in Kosovo, in Iraq e in Afghanistan) utilizzato dalle potenze occidentali che quando prevalgono insediano un nuovo governo “democratico” i cui leader sono, chi più o chi meno, consulenti di qualche multinazionale o di qualche impresa petrolifera occidentale. Dopo un periodo più o meno lungo trascorso come esuli politici in America e/o in Europa, si sono nel frattempo laureati e hanno ottenuto incarichi presso Università prestigiose come Harvard, Oxford o Yale, cioè le “madrase” del neoliberismo occidentale.
Dietro i vari sommovimenti di piazza scoppiati in Serbia (2000), in Georgia (2003), in Ucraina (2004) e in Kirghizistan (2005), anche allo scopo di costruire una rete di collaborazionisti, vi sono agenzie non governative vicine alla Rockefeller Foundation e alla Cia, come la Soros Family Fondation (per la promozione della “società civile”, che finanzia l’Open Society Institute), la Freedom House (a sostegno dei media indipendenti, creata dalla moglie di Roosevelt), l’International Repubblican Institut (finalizzata alla costruzione di nuovi partiti in linea con i valori del liberalismo, presieduto da John McCain, il candidato sconfitto delle presidenziali USA del 2008 contro Obama, giunto a Kiev per complimentarsi coi leader golpisti!) e la National Democratic Institut for International Affairs (per promuovere “elezioni democratiche”), la United States Agency for International Development e l’Albert Einstein Institution, le stesse fondazioni “benefiche” che rivedremo all’opera nei diversi teatri sopra elencati, e che sono finanziate col bilancio degli Stati Uniti o con capitali privati statunitensi: basti pensare che la National Endowment for Democracy è finanziata da un budget votato dal Congresso e i fondi sono gestiti da un CdA con rappresentanti del Repubblican Party e del Democratic Party, dalla Camera di Commercio degli Stati Uniti e dal sindacato Federation of Labor – Congress of Industrial Organization (AFL-CIO). Chi ha stilato l’elenco di tali organismi presenti nei paesi dell’ex Urss? Nero su bianco, lo spiega la rivista di geopolitica filoatlantista «LiMES», edita dal Gruppo Editoriale l’Espresso, vicino al Partito democratico, nel Quaderno Speciale sulla crisi in Ossezia del 2008,[3] e in un documentario del 2005 di Manon Loizeau, intitolato États-Unis à la conquête de l’Est.[4] Infatti G. Sussman e S. Krader della Portland State University spiegano che
«Tra il 2000 e il 2005, i governi alleati della Russia, in Serbia, in Georgia, in Ucraina e in Kirghizistan, sono stati rovesciati da rivolte senza spargimenti di sangue. Nonostante i media occidentali sostengano generalmente che queste sollevazioni siano spontanee, indigene e popolari (potere del popolo), le “rivoluzioni colorate” sono in realtà l’esito di una ampia pianificazione. Gli Stati uniti, in particolare, e i loro alleati hanno esercitato sugli Stati post-comunisti un impressionante assortimento di pressioni e hanno utilizzato finanziamenti e tecnologie al servizio dell’aiuto alla democrazia».[5]
Come agiscono gli Organismi non governativi (Ong) sopra citati? Attraverso la promozione di movimenti “spontanei” per lo sviluppo della società civile come Otpor (“Resistenza”) in Serbia, Kmara (“E’ abbastanza!”) in Georgia, KelKel (“Rinascita”) in Kirghizistan, e Pora (“E’ ora”) in Ucraina. Il primo, Optor, ha poi fatto scuola, sostenendo i vari movimenti affini attraverso il Center for applied non violent action and strategies (Canvas), con sede nella Belgrado post-Milosevic, per addestrare militanti all’applicazione della cosiddetta «resistenza non violenta», ideologia teorizzata in From Dictatorship to Democracy dal filosofo e politologo statunitense Gene Sharp, fondamento delle «rivoluzioni colorate»:
«Una di queste organizzazioni [ispirate a Optor] è il Centro per la resistenza non violenta [il Canvas. Ndr], che nella sua parte preponderante riprende le attività non governative dell’allora Otpor, e che in questi giorni si è trovato al centro dell’attenzione sia del pubblico locale che di quello internazionale per le sue attività in Ucraina. Un segmento del Centro è proprio il Training Team che realizza dei training nell’ambito della resistenza e della soluzione pacifica delle crisi e dei conflitti. Proprio questo team è stato al centro dell’attenzione del pubblico, e in particolare dopo l’impegno attivo dei trainer del Centro durante le vicende pre-elettorali in Georgia, Bielorussia e Ucraina. Perché nell’ultimo anni diversi trainer e attivisti dell’allora Otpor hanno trasferito l’esperienza e la conoscenza impiegate nella lotta contro il regime della Serbia ai loro colleghi di varie organizzazioni studentesche e giovanili sia della regione che fuori. Il più famoso “esportatore di rivoluzioni”, come viene spesso chiamato, Aleksandar Marić ha avuto la sua prima missione compiuta in Georgia, quando ha addestrato l’allora movimento giovanile “Kmara” alle tecniche della resistenza non violenta, il cui risultato è stata la sconfitta del regime di Eduard Scevarnadze. Dopo di che sono giunti numerosi inviti di organizzazioni studentesche dai paesi dei cosiddetti regimi autoritari, i quali hanno creduto che lo “scenario serbo” potesse essere realizzato anche alle loro condizioni. Sulla “riuscita” dei training che si sono tenuti in suddetti paesi e sul timore che potessero assistere allo stesso destino di Slobodan Milošević, la dice lunga il fatto che tutti i trainer del Centro, e in particolare Aleksandar Marić, sono stati definiti come persona non grata, col che gli è stato impedito l’ingresso in Bielorussia, Russia e Ucraina. L’ultimo “incidente” che, come già detto, ha scosso l’opinione pubblica mondiale è accaduto una decina di giorni fa, alla vigilia del primo turno per le elezioni presidenziali in Ucraina, tenutesi il 1 novembre 2004, quando Aleksandar Marić prima è stato trattenuto all’aeroporto di Kiev, poi fatto rientrare in Serbia senza spiegazioni sul perché gli sia stato impedito l’ingresso in Ucraina. Aleksandar Marić, d’altra parte, durante gli ultimi tre mesi aveva lavorato come consulente della rete giovanile ucraina denominata “Pora” (“E’ ora”), molto simile a Otpor sia per gli obiettivi che per l’organizzazione».[6]
Comprendiamo perché il governo russo – che non è senz’altro nelle nostre corde – abbia espulso dalla Russia le varie Ong! Com’era riportato sul «The Guardian», «Ufficialmente, il governo Usa ha distribuito in un anno 41 milioni di dollari per l’organizzazione e il finanziamento dell’operazione che ha consentito di sbarazzarsi di Milosevic […] In Ucraina, la cifra si aggira introno ai 14 milioni di dollari».[7] Quindi, nulla di spontaneo… bensì pilotato da Washington. Le citate Ong statunitensi sono state inoltre coinvolte anche in quella che va sotto il nome di “primavera” araba (fenomeno complesso, con risvolti contraddittori da approfondire in altra sede): giovani attivisti arabi sono stati formati alla resistenza individuale non violenta da Canvas e alla cyber-dissidenza da organizzazioni americane come l’Alliance of youth movements (Aym), sponsorizzata dal Dipartimento di Stato, come anche da multinazionali americane delle comunicazioni e dei social network come Google, Facebook e Twitter.
In piazza a destra… molto a destra! Chi compone l’Euromaidan
Quello ucraino è stato un golpe a tutti gli effetti e non una rivoluzionaria presa di potere: Viktor Yanukovich era stato democraticamente eletto il 7 febbraio 2010 avendo sconfitto la filoamericana Yulia Tymoshenko al secondo turno delle elezioni presidenziali con 48,95% di voti contro il 45,47%. La Tymoshenko non aveva accettato il responso delle urne,[8] dato che chi aveva vinto era quello che, secondo il punto di vista del fronte filoamericano, era stato “delegittimato” dalla prima rivoluzione arancione del 2004. Le elezioni presidenziali di quell’anno videro come avversari il primo ministro in carica, Viktor Yanukovich, e l’ex primo ministro e leader dell’opposizione filo-occidentale, Viktor Yushchenko. Il secondo turno vide prevalere Yanukovich con il 49,46 dei consensi contro il 46,61 % ottenuto dal suo avversario. Ma il risultato venne contestato in quanto, secondo l’opposizione filoamericana, le elezioni erano fraudolente. Esplose la citata rivoluzione arancione, finanziata dalle Ong occidentali all’insegna della «esportazione della democrazia». Il primo risultato di questa “rivoluzione” fu l’annullamento del secondo turno delle elezioni presidenziali. Fu organizzato un terzo turno delle elezioni presidenziali e Yushchenko, con il 51,99 contro il 44,19%, viene eletto presidente. La Tymoshenko, Yushchenko & Co. prendono la decisione, di fronte ad un’opinione pubblica internazionale che avvalla quell’elezione, di ritirare l’invalidamento e il ricorso alla giustizia.[9] Specie perché le loro proposte per l’Ucraina erano una vera bufala, e il nuovo presidente decide di sospendere l’accordo Ucraina-Ue. Di che si tratta? Il dott. David Teurtrie, ricercatore presso l’Istituto nazionale delle lingue e civiltà orientali (Inalco, di Parigi), spiega:
«La proposta fatta (dalla Ue) all’Ucraina è qualcosa che io definirei una strategia perdente-perdente. Perché? L’accordo prevedeva l’istituzione di una zona di libero scambio tra Ue e Ucraina. Ma essa era molto sfavorevole all’Ucraina perché avrebbe aperto il mercato ucraino ai prodotti europei e solo socchiuso quello europeo ai prodotti ucraini, che per lo più non sono concorrenziali sul mercato occidentale. Vediamo quindi che vi sono assai pochi vantaggi per l’Ucraina. Per semplificare, l’Ucraina avrebbe subito tutti gli svantaggi di questa liberalizzazione del commercio con l’Ue, senza riceverne alcun vantaggio».[10]
Peccato – e la cosa non può che apparire che “pilotata”, dato che il popolo ucraino non è affatto ingenuo – che i manifestanti dell’Euromaidan fossero favorevoli a tale svantaggioso accordo che avrebbe trasformato il paese in un’ennesima Grecia, come nota il quotidiano comunista francese «l’Humanité».[11] Il movimento Euromaidan – proprio come Solidarność negli anni ’80, finanziato dalla Soros Fondation e in seguito a capo di una coalizione che guida l’estrema destra polacca assieme a partiti affini a Forza nuova, è multivariegato ed è composto da più partiti che vanno dalla destra liberale all’ala più reazionaria dell’emiciclo ucraino, come “Batkivshina” o Unione pan-ucraina “Patria” di Yulia Tymoshenko e di Olexandre Turchinov, presidente ad interim dell’Ucraina occidentale, partito liberal-conservatore filo-europeo osservatore esterno del Ppe. Batkivshina ha legami col think tank “Konrad Adenauer Stiftung” (legato alla Cdu di Angela Merkel) e con l’International Repubblican Institut di John McCain. Uno dei membri del governo di Kiev, Pavel Sheremeta, dal 1995 al 1997 è stato direttore di programma all’Open Society Institute di Soros a Budapest.[12] Un’altro partito è l’Udar (Alleanza democratica ucraina per la riforma, acronimo di “Colpo”), partito liberalconservatore dell’ex pugile Vitali Klitschko, nato dalla fusione col movimento giovanile «arancione» Pora – sezione ucraina di Otpor, che in Serbia è in un partito filoamericano –,[13] che ha legami con le Ong elencate e col centrodestra tedesco (che l’ha creato), come esposto da questo documento, Our Man in Kiev, pubblicato in rete il 10 dicembre 2013:
«Secondo informazioni giornalistiche, al governo tedesco piacerebbe che il campione di boxe Vitali Klitschko punti alla presidenza per portarlo al potere in Ucraina. Egli vorrebbe migliorare la popolarità della politica dell’opposizione, organizzando per esempio delle apparizioni pubbliche congiunte col ministro degli affari esteri tedesco. A tal fine è stato previsto anche un incontro di Klitschko con la cancelliera Merkel durante il prossimo summit della Ue a metà dicembre. La Konrad Adenauer Stiftung ha infatti, non solo sostenuto massicciamente Klitschko e il suo partito Udar, ma – stando alla testimonianza di un politico della Cdu – il partito Udar è stato fondato nel 2010 per disposizioni dirette della Fondazione della Cdu. I rapporti sulle attività della Fondazione per lo sviluppo del partito di Klitschko forniscono una indicazione sul modo col quale i Tedeschi influenzano gli affari interni dell’Ucraina attraverso l’Udar».[14]
In formato relativamente più ridotto abbiamo partiti di estrema destra come Svoboda, movimento ultranazionalista guidato da Oleh Tyahnybok, legato a Forza nuova e a Fiamma tricolore,[15] e noto per le sue posizioni antisemite, omofobe, xenofobe, antirusse e anticomuniste e per il suo rifarsi a collaborazionisti come Stepan Bandera, che combatté l’Urss al fianco delle truppe dell’Asse,[16] e per il programma ambiguo, in teoria una “terza via” o “terza posizione” (un’Ucraina equidistante dall’Ue e dalla Russia ed economicamente “corporativa”), in pratica succube di Kiev. Svoboda si dichiara apertamente disposto a negoziare l’ingresso nella Nato, chiedendo il sostegno agli Usa e all’Inghilterra per difendere l’Ucraina contro i russi e costituire un proprio arsenale nucleare rafforzando militarmente il Paese in chiave antirussa, concedendo addirittura spazi per costruire basi militari per la Nato, rafforzando i legami economici con l’Ue.[17] E’ forse un partito minoritario? Tutt’altro: appena entrato nel governo un’esponente di Svoboda, il neonazista Oleg Mahnitsky, è stato nominato procuratore generale dell’Ucraina, postazione di importanza strategica in una situazione di questo tipo, e tre ministri del governo di Kiev, Oleksandr Sych, vice-Primo ministro; Andriy Mokhnyk, Ministro dell’ambiente e Oleksandr Myrnyi, Ministro dell’agricultura, sono militanti neonazisti di Svoboda. Abbiamo infine Pravy Sektor – l’ala più violenta della piazza, responsabile del massacro di Odessa – coalizione nazionalrivoluzionaria guidata da Dmitro Yarosh, a capo di “Trizub” (cioè “Tridente”, simbolo utilizzato anche dai nazionalrivoluzionari francesi di Troisiéme voie, “cugini” skinheads di CasaPound), che ha il sostegno – lo abbiamo già detto – dei “fascisti del III millennio” e del loro guru, Gabriele Adinolfi.[18] La coalizione neonazista Pravy Sektor – i cui militanti si autoproclamano “soldati della rivoluzione nazionale” – è composta da gruppi minori, i “Patrioti dell’Ucraina”, “l’Ukrainska natsionalna asambleya – Ukrainska narodna sambooborunu – Una-Unso” (Assemblea nazionale ucraina – Autodifesa nazionale ucraina), Bilyi Molot (Martello Bianco) oltre all’ala più estrema di Svoboda.
Nella prossima puntata analizzeremo l’evoluzione, gli ulteriori contatti e le proposte di tale coalizione nazi-liberista, esplicitamente sostenuta dai “progressisti” del Pse (un Renzi trionfalista che va a Kiev e uno Schutz che critica le ragioni delle Repubbliche scissesi dal governo occidentalista!) e dal Ppe e dall’Alde (come Scelta civica/Scelta europea di Mario Monti, l’uomo giusto al momento giusto, il fratello “compasso, grembiulino & squadre” del Gruppo di Bildenberg). Non bisogna dimenticare che fu l’Spd, al governo coi liberali, a sostenere i Freikorps paranazisti contro la Repubblica dei consigli a Monaco, cioè gli assassini di Karl Liebknecht e Rosa Luxemburg. I casi della vita!
[1] G. Gaiani, In Ucraina si rivede la Blackwater, che però adesso si chiama Greystone, «Il Sole 24 Ore», 9 aprile 2014.
[2] L’Est Ucraina dopo il referendum chiede l’annessione alla Russia. L’Ue non riconosce il risultato e vara nuove sanzioni contro Mosca, in «La Stampa», 12 maggio 2014; Ucraina, l’est sceglie la secessione. Kiev: “Farsa finanziata dal Cremlino”, in «la Repubblica», 12 maggio 2014.
[3] Russia contro America, peggio di prima, supplemento a «LiMes», n. 4/2008, p. 18.
[5] G. Sussman – S. Krader, Template Revolutions: Marketing U.S. Regime Change in Eastern Europe, in «Westminster Papers in Communication and Culture», University of Westminster, London, vol. 5, n. 3, 2008, p. 91-112.
[7] I. Traynor, US campaign behind the turmoil in Kiev, in «The Guardian», 26 novembre 2004.
[8] AFP, Élection présidentielle – Ioulia Timochenko refuse de reconnaître sa défaite, «Le Point», 9 febbraio 2010.
[9] AFP, Présidentielle en Ukraine: Timochenko retire son recours en justice, RTL, 20 febbraio 2010.
[11] G. De Santis, Ukraine. L’UE ne promet pas la lune aux manifestants… juste la Grèce, «l’Humanité», 24 febbraio 2014.
[16] P. Ghosh, Svoboda: The Rising Spectre Of Neo-Nazism In The Ukraine, in «International Business Times», 27 dicembre 2012 e Id., Euromaidan: The Dark Shadows Of The Far-Right In Ukraine Protests, ivi, 19 febbraio 2014.