Sul concetto di patria

La nascita dell’associazione, “Patria e Costituzione”, recentemente fondata da Stefano Fassina (ex PD, SI, e LeU), Alfredo D’Attorre (ex PD e SI) e altri (fra cui l’economista comunista Vladimiro Giacchè), ha suscitato nella “sinistra liberale” e ancor più in quella “radicale” reazioni a dir poco veementi e in taluni casi anche violente.

La critica più feroce e ormai anche scontata è quella di “rossobrunismo”, etichetta che viene appiccicata a chiunque osi criticare l’ideologia politicamente corretta che accomuna da tempo destra e “sinistra” liberali (e liberiste) ma anche la “sinistra” cosiddetta “radicale”, quindi tutto l’arco politico che va da Macron a Tsipras e, per quanto riguarda le vicende di casa nostra, da Berlusconi alla Boldrini con tutto quello che c’è in mezzo.

Una delle ragioni per cui tale associazione è stata accusata di flirtare o comunque di essere ideologicamente e politicamente subalterna alla destra e alla Lega in particolare è proprio, fra gli altri, il richiamo alla patria (oltre alla sovranità nazionale di cui ci occuperemo in un altro articolo ad hoc) a cui si ispira, che viene letto e interpretato dai suddetti critici solo ed esclusivamente in chiave neo conservatrice e reazionaria.

Questo è un errore madornale. Il rischio che tale associazione finisca – e chi scrive non se lo augura di certo – per essere subalterna alla destra esiste ed è molto concreto, a mio parere, ma su altre questioni, fra cui, ad esempio, il modo di posizionarsi rispetto al fenomeno dell’immigrazione. Ma di questa questione mi occuperò in altro momento.

Ora, che il concetto di patria sia stato in buona parte storicamente egemonizzato dalla destra è sicuramente vero. Ma questo è stato un errore della sinistra (di quella occidentale, per la verità, sia essa socialdemocratica, liberale e anche marxista, ma non di quella comunista e socialista non occidentale e certamente non dei movimenti di liberazione nazionale e anticolonialisti di tutto il mondo…) che lo ha “regalato” alla destra, la quale se ne è solo appropriata in modo ambiguo, strumentale ed ipocrita.

Le ragioni di questa ipocrisia sono peraltro evidenti. Per la destra o, per meglio dire, le destre, la sola patria che conta è la propria, quella degli altri può essere tranquillamente calpestata, occupata, bombardata. Non credo ci sia bisogna di ricorrere alla storia per sapere come i regimi fascisti e nazisti che del concetto di patria facevano una loro bandiera, abbiano sistematicamente e platealmente calpestato l’altrui suolo patrio e insieme a questo il diritto degli altri popoli e delle altre nazioni a godere della propria indipendenza e autodeterminazione.

Ma lo stesso identico discorso vale per le grandi potenze liberali e occidentali da sempre intrise di nazionalismo e di “amor patrio”, quindi in primis per la Gran Bretagna, la Francia, gli Stati Uniti d’America e prima ancora la Spagna e il Portogallo. Tutti stati e nazioni nei quali il concetto di patria è stato addirittura esaltato anche se, il più delle volte se non sempre, in modo assolutamente ipocrita e strumentale, come dicevo poc’anzi. Se, infatti, si considera la patria come un valore imprescindibile e se, di conseguenza, la si considera sacra ed inviolabile, logica e coerenza vorrebbero che anche le patrie altrui siano considerate altrettanto sacre ed inviolabili. Anche in questo caso, sappiamo perfettamente come è andata la storia. I “sacri valori” della patria sono stati utilizzati per coprire e giustificare ideologicamente l’aggressione, l’occupazione, la colonizzazione e in ultima analisi l’assoggettamento di tutti i popoli del mondo, dall’Asia, all’Africa, alle Americhe fino all’Oceania.

Le destre, quindi, sia quelle fasciste che quelle conservatrici e/o liberali, sono quelle che meno di chiunque altro hanno il diritto di gonfiarsi il petto parlando di patria.

Al contrario – come accennavo poc’anzi – i movimenti comunisti, socialisti, “nazionalisti progressisti” (pensiamo ad esempio al nazionalismo arabo laico e socialista) e anticolonialisti sono quelli che coerentemente hanno avuto nella patria uno dei loro principali riferimenti per rivendicare il loro diritto alla libertà, all’indipendenza e all’autodeterminazione.

Nell’URSS, dalla sua nascita fino al suo scioglimento, la patria era celebrata con grande enfasi. La seconda guerra mondiale è stata, nell’immaginario di tutti i russi (e, a suo tempo, di tutti i sovietici) la Grande Guerra Patriottica che portò alla sconfitta del nazifascismo. Stesso discorso per la Cuba rivoluzionaria (celebre il famoso “Patria o muerte” con cui Guevara concluse un suo discorso all’ONU nel 1964 https://youtu.be/y1gX5NzBeIQ ) e anche per quella attuale dove l’elemento patriottico è uno dei pilastri ideologici della resistenza al tentativo di strangolamento da parte degli USA.

Alla difesa della patria – una patria socialista, certamente – fece appello il Presidente Allende, nel suo ultimo drammatico discorso al popolo cileno, prima di cadere vittima dei golpisti fascisti (e liberisti) sostenuti e armati dalla CIA. Alla patria facevano riferimento i movimenti anticolonialisti e antimperialisti (e molto spesso, se non quasi sempre, socialisti e comunisti), dell’Algeria, dell’Angola, del Mozambico, della Guinea Bissau, della Palestina, del Vietnam e di tanti altri ancora.  Alla patria faceva e fa riferimento il “socialismo bolivariano” latinoamericano proprio come arma ideologica e politica contro le ingerenze degli USA. Alla patria hanno fatto riferimento i comunisti jugoslavi guidati da Tito contro l’occupazione nazista e la Resistenza dei partigiani in Italia da cui è scaturita la Costituzione di questo paese. Alla patria, facendo un salto un po’ più indietro, facevano appunto riferimento Mazzini, Garibaldi, e tutti gli altri che hanno dato vita al Risorgimento e al processo di unificazione (o di annessione imperialista da parte del Regno di Sardegna…) dell’Italia, pur con tutte le sue contraddizioni…

Gran parte di quei movimenti erano e sono (per lo meno di ciò che rimane…) al contempo anche internazionalisti, nel senso che coniugavano il concetto di patria (fondamentale per rivendicare il diritto all’autodeterminazione dei rispettivi popoli) con quello della solidarietà di classe fra tutti i proletari e i poveri del mondo, indipendentemente dalla loro nazionalità. Non c’è contraddizione, infatti, fra i due concetti, come vorrebbe una certa vulgata “marxista (meglio dire, post marxista) occidentale”. Il punto vero sono i contenuti. E’ infatti ovvio, se non scontato, che un movimento marxista e/o socialista non potrà mai sostenere il concetto di patria in sé e per sè, come un valore assoluto e quindi decontestualizzato. Ed è quindi altrettanto ovvio che non potrà sostenerlo anche e soprattutto nel momento in cui quel concetto viene utilizzato come falsa coscienza per coprire politiche imperialiste e colonialiste oppure stati-nazione capitalisti e reazionari o addirittura fascisti.

Come vediamo, dunque, il concetto di patria può rappresentare un valore così come un dis-valore, un principio nobile così come uno strumento ideologico, a seconda dei contenuti e del contesto.

Scrivo queste parole indipendentemente dal mio personale giudizio sulla neonata associazione e su quelle che orbitano in quella stessa area politica. Credo infatti che in questa particolare fase storica non sia rivalutando o riproponendo in una diversa (e pur condivisibile) chiave il concetto di patria che si possa ricostruire un rapporto con quelle masse popolari colpevolmente abbandonate dalla sinistra e che negli ultimi anni si sono rivolte alla destra o alle diverse forze populiste. I circa 12 (dicasi dodici) milioni di cittadini italiani, in larghissima parte appartenenti ai ceti popolari, che hanno dato il loro voto al M5S alle scorse elezioni del 4 marzo, non lo hanno fatto per “amor di patria” bensì perchè hanno visto in quella forza politica lo strumento per veicolare e dare una risposta concreta al loro disagio sociale.

In questo senso, credo che la “riabilitazione” a sinistra del concetto di patria proposta dai promotori di “Patria e Costituzione” (ma anche da quelli della contigua e anch’essa neonata associazione Rinascita!) – pur giusta e necessaria nei termini generali che ho cercato di spiegare – possa concretamente declinarsi, nel caso e nel momento specifico, nel tentativo di rincorrere la destra sul suo stesso terreno (così come sulla risposta che quella stessa area politica o parte di quella stessa area politica sembrerebbe paventare sulla questione dell’immigrazione) nella speranza di riconquistare credibilità e consensi per lo meno presso una parte dei ceti popolari.

Penso che la strada per ricostruire quel rapporto sia di altro genere ma anche di questo tratterò in un successivo e specifico articolo.

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Foto: Cubahora (da Google)

 

 

4 commenti per “Sul concetto di patria

  1. ARMANDO
    1 Ottobre 2018 at 20:10

    Credo si debba partire dal definire cosa è la patria, cosa su cui ci sono alcuni equivoci. Non è soltanto lo spazio geografico in cui siamo nati, non soltanto il legame di “sangue” con altre persone nate negli stessi luoghi, ma contrassegna l’identità culturale profonda di un popolo. Luoghi e legami hanno naturalmente la loro importanza, perchè anche su di essi si modella l’dentità e il carattere di un popolo; il popolo Inuit è portatore di una identità necessariamente diversa da quella dei Masai anche in forza dei luoghi, un popolo che si mescola con un altro svilupperà nel tempo una identità diversa da quella originaria. L’intersecarsi di tutte le variabili contrassegna quell’dentità culturale che persiste in quel determinato spazio che solo così acquisisce il significato di Patria. E’ vero che la destra, in linea generale, ha strumentalizzato il concetto, ma occorre dire anche che quei movimenti comunisti e in generale anticolonialisti che hanno fatto leva sul concetto di Patria, erano già eterodossi rispetto al pensiero marxiano in senso stretto. Del resto lo era anche Stalin quando proclamò, per necessità, la dottrina del “socialismo in un paese solo”. Marx, l’ho scritto più volte, fu autore sfaccettato e controverso, ma sul concetto di patria proprio non mi pare insistette mai.Piuttosto pose l’accento sull’internazionalismo, che della patria è il contrario in quanto ritiene che non esista un sentire comune autentico dei diversi popoli. Quando esiste quel sentire, per Marx, si tratta di falsa coscienza, ossia di subordinazione culturale del proletariato alla borghesia. Si può dire per questo che quel marxismo che respinge la patria, insieme con la famiglia e Dio, è coerente con Marx più di chi, al contrario, ne ha fatto un vessillo. La storia è strana, perchè la realtà ci racconta che quell’internazionalismo predicato da Marx, oggi lo realizza pro domo propria e quindi in forma distorta, proprio il capitale globalizzatore. Da quì, anche, la trasmigrazione verso i neocon di tanti trotskisti statunitensi, o le “inni ” di Negri all’Impero. Inutile dire, naturalmente, che in tutti questi casi in cui la sx è contraria al concetti di patria in nome dell’internazionalismo e del meticciato culturale globale, non solo si illude totalmente, ma fa esattamente il gioco dell’ex avversario. Coniugare Patria e solidarietà di classe è possibile solo a partire dal riconoscimento che ciascun popolo, e quindi ciascun proletariato che di quel popolo è parte, ha una sua propria identità diversa da quella altrui, con ciò scontando anche possibili contraddizioni. Insomma, la classe in senso marxiano, ossia legata solo nel e dal rapporto di produzione oltre tutte le altre determinazioni, non basta a creare vera solidarietà; è un’astrazione che non trova riscontro concreto nella realtà. Pasolini , che credeva nelle radicate culture popolari tradizonali, lo aveva ben chiaro. Il proletario italiano è impregnato di una cultura diversa da quello americano, e questo da quello nordeuropeo. Cattolico il primo, protestanti nelle diverse confessioni gli altri, per stare solo al fattore religioso, cui si sommano naturalmente quello geografico perchè il sole mediterraneo non è la stessa cosa del clima nordico, quello del modo in cui si è evoluta o involuta l’istituziome familiare, quello della storia passata perchè il rinascimento non dappertutto c’è stato, e non allo stesso modo.
    Ne consegue che il riferimento alla patria definita come sopra, non è qualcosa da cui possiamo prescindere, semplicemente perchè è la realtà delle identità culturali (che poii siano nazionali nel senso di italiane o francesi o…, oppure regionali come ad esempio venete o altro, è questione diversa, ma non muta la sostanza). Ed è imprescindibile anche perchè è proprio il capitale che mira a distruggerle, insieme con Dio e Famiglia. Vogliamo forse fare le sue mosche cocchiere?
    nell’articolo c’è un concetto che mi trova totalmente d’accordo: quello che rivendicare il diritto alla propria patria e alla propria identità culturale, dovrebbe , per non essere un concetto falso, ipocrita, una foglia di fico dietro cui praticare l’oppressione e il colonialismo culturale, implicare il riconoscimento simmetrico e rigoroso di identico diritto da parte di tutti i popoli. La così detta destra (così detta perchè, come per la sinistra, per me è evidente che si tratta di concetti obsoleti e non di invarianti assolute, come dimostra la loro evoluzione nel tempo e certi rivesciamenti inauditi di posizioni ) ha sempre usato strumentalmente il concetto di patria, e non solo in senso nazionalistico e aggressivo verso le patrie altrui, ma anche per distogliere internamente l’attenzione dallo sfruttamento delle classi subalterne. Tuttavia, così come a “sinistra” esistono fermenti cuturali che si riappropriano, giustamente, di un concetto definito di destra come quello di patria, anche la “destra” non è un monolite immobile. Uno come De Benoist, ad esempio, partendo da posizioni non condivisibili nei suoi anni giovanili, ha poi sviluppato (insieme al suo gruppo di Elements, che in Italia ha il suo corrispettivo nella rivista Diorama e in Marco Tarchi), una critica serrata alle destre tradizonali e liberiste ed al capitalismo, in ciò recuperando anche elementi di marxismo; e approdando infine al “differenzialismo”, che appunto ritiene findamentale il diritto di ogni popolo alla sua propria cultura , alla propria patria ed al potere sul proprio suolo, nonchè al suo sviluppo in piena indipendenza contro ogni forma di colonialismo culturale e imperialismo guerrafondaio. Non che le sue posizioni debbano in toto essere esenti da critiche (ad esempio una secondo me equivocabile opposizione al concetto di universalismo, oppure il recupero del paganesimo ), ma l’essenza di quella posizione sulle patrie è a mio avviso interamente condivisibile. Insomma, come diceva Mao, grande è il disordine sotto il cielo, ma da questo disordine potrà emergere chissà quando l’abbozzo di un nuovo ordine che possa anche recuperare, senza pensare ad anacronistici ritorni, quegli elementi del passato che la modernità sta distruggendo uno ad uno in nome del nulla.

  2. Rino DV
    1 Ottobre 2018 at 21:55

    .
    Le società sono divise in tre dimensioni.
    Orizzontale: stratificazione e classi.
    Verticale (c.d. identitaria): lingua, religione, etnia, tradizioni, folklore, elementi simbolici etc.
    Diagonale: generazioni, sesso
    .
    La Destra universalmente nega la prima.
    La Sx reale, storica, in Europa ha negato l’esistenza della seconda in tutti i suoi aspetti.
    Quanto alla terza dimensione noto questo. Posto che per la Sx il solo conflitto che deve essere riconosciuto è quello di classe mentre il resto è tutto senza valore ed è un depistaggio, anche il conflitto tra i sessi (inteso unidirezionalmente come lotta millenaria degli UU contro le DD) deve risolversi a sua volta nella lotta di classe.
    .
    Questa è la posizione storica reale della Sx. Gli scritti di Marx restano sulla carta.
    Questa è la percezione che la massa ha della Sx. E’ con questa realtà che abbiamo a che fare, con questi sentimenti di cui la Sx nega l’esistenza. Ogni difesa degli elementi verticali proveniente da Sx è percepita come strumentale, derivata,
    utilitaristica, contingente, patetica.
    Comunisti e anarchici abbiamo invocato la fine di Dio, della Patria e della famiglia. Gli anarchici anche dello Stato.
    .
    Siamo serviti…

    • ARMANDO
      2 Ottobre 2018 at 12:03

      Ti correggo su un punto. La dx non nega le classi e le stratitificazioni. Del resto non potrebbe. Ne fa semplicemente un valore positivo, o nella migliore delle ipotesi, un fatto insuperabile. Ora, esiste una destra, diciamo così, castale, la quale vorrebbe cristallizzare quelle stratificazioni come provenienti dall’alto, per cui i figli erediteranno per diritto “divino” i privilegi dei padri, ma esiste anche una destra “moderna” fautrice della mobilità sociale. Questa destra moderna, in realtà converge in tutto con la sinistra altrettanto moderna, per la quale la vera uguaglianza sarebbe quella ai “nastri di partenza”. Dunque “mobilità sociale” è la parola d’ordine di entrambe. Intendiamoci, meglio la mobilità sociale che le caste, ma non questo è il punto fondamentale. Anzi, dal punto di vista astratto del funzionamento del sistema socioeconomico (capitalistico) una mobilità sociale totale, autentica, veritiera, sarebbe la perfezione. Assicurerebbe ad ogni generazione, nuova linfa, nuove energie, personalità fresche ecc, ecc. che lo farebbero funzionare meglio, ovviamente ripoducendo comunque disuguaglianze e disparità. Siamo all’astrazione totale che non tiene conto della natura umana, perchè è ovvio, e umano e naturale, che chi ha raggiunto una certa posizione sociale ed economica farà tutto quello in suo potere affinchè ne beneficino i figli. Quindi funziona solo sulla carta, così come solo sulla carta funziona il metafisico laissez faire smithiano, che tradurrebbe in bene comune l’egoismo individuale. D’altra parte è altrettanto antiumana la pretesa di perfetta uguaglianza collettivista, perchè anch’essa urta contro la natura umana che non prescinde dal vantaggio individuale. Così tanto non umana che mai si è realizzata, neanche nei paesi comunisti più puri e duri, così come da questa parte del mondo mai si è realizzata una vera mobilità sociale. Le ciontraddizioni non possono mai essere risolte del tutto, perchè è l’uomo stesso ad essere contraddittorio. Però esiste una differenza fra il saperlo e non saperlo. Nel secondo caso si tenderà a forzare le cose in un senso o in quello opposto. Nel primo caso, invece, si cercheranno quei meccanismi che facciano leva sulla parte comunitaria, solidale della natura umana, piuttosto che su quella individualegoistica, e che quindi siano atti, senza negarle, a correggere le storture che da essa derivano. Il keinesismo è stato, credo, un tentativo cmunque fondato sul meccanismo economico capitalistico, che ha parzialmente funzionato solo finchè l’economia tirava e la ricchezza cresceva. Poi è inevitabilmente crollato e non credo tornerà più, non almeno negli stessi termini. Il che mi fa dire che la soluzione va cercata più nella seconda dimensione, quella verticaale di cui fa parte anche la Patria, che nella prima. Solo in quella, e non viceversa, potranno essere individuate le vie affinchè le stratificazioni non diventino dirompenti ma rimangano rigidamente contenute entro un ambito che non scardini la comunità stessa, ossia che non distruggano tutto ciò che significa Identità. Il keinesismo voleva “correggere” basandosi sull’economia, ma anche il collettivismo intendeva rivoluzionare il mondo a partire sempre dall’economia. Quanto alla terza dimensione, quella dei sessi, interseca le due altre, costantemente e perennemente. ne riparleremo

  3. Panda
    2 Ottobre 2018 at 22:58

    Mi limito a due osservazioni: prima di tutto Marx non interpretava il fenomeno nazionale nel modo così ridicolmente economicistico che spesso gli si attribuisce: Erica Benner ci ha scritto un ottimo libro ( https://www.versobooks.com/books/2672-really-existing-nationalisms ), che consiglio.
    Secondo: ricostruire il rapporto con chi si trova in condizione di emarginazione sociale non mi pare così difficile: basterebbe promettere di migliorare tale condizione. Il problemino problemuccio è come fare. Quel che manca è la forza, non le buone intenzioni. Che il terreno meno scoraggiante per provare a segnare qualche punto sia quello nazionale mi pare il punto di realismo che l’associazione vuole sollevare. Condivisibilmente, direi.

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