La sentenza, che riportiamo di seguito perché è fondamentale leggerla con attenzione Sentenza Fortezza da Basso, che ha assolto (perché il fatto non sussiste) i sei ragazzi fiorentini accusati di aver abusato sessualmente diversi anni fa di una ragazza al termine di una serata in discoteca, ha scatenato l’immediata e veemente reazione del mondo femminista e di “sinistra”, più o meno in tutte le sue articolazioni.
Quello stesso ambiente che normalmente (e giustamente, per ciò che mi riguarda) si erge a garantista e a paladino delle “differenze”, di ogni forma di “diversità”, dei diritti di tutto e di tutti (da quello dei condannati per strage o per associazione mafiosa fino a quelli dei colibatteri del fiumiciattolo che scorre nel parco davanti casa mia che vanno salvaguardati e protetti, non sia mai…), si capovolge nel suo opposto trasformandosi in un’ orda giustizialista, securitaria e forcaiola, in tema di reati sessuali.
Tutto ciò, naturalmente, quando ad essere accusati di violenza sessuale sono degli uomini, in questo caso italiani, colpevoli per definizione in quanto “maschi occidentali, eterosessuali, bianchi e proprietari“, anche se non hanno un euro in tasca e nella vita fanno i manovali o i camerieri precari. Quando invece ad essere accusati per lo stesso reato sono degli immigrati, le parti si invertono e il compito di scatenare la furia giustizialista (castrazione chimica, condanna all’ergastolo, sospensione di ogni garanzia costituzionale, più gogna mediatica e marchio dell’infamia vita natural durante) spetta alla destra e in particolare a quelli della Lega Nord più fascisteria varia al seguito (quando si parla di divisione sociale – in questo caso, politica – del lavoro!…). Comunque sia, questo è bene sottolinearlo, ad essere sottoposti al tiro incrociato, sono appartenenti al genere maschile; è questo ciò che accomuna i due schieramenti…
Non da meno – in questa vicenda così come in altre simili – sono stati i media, i cui funzionari, a stipendio fisso o variabile, senza neanche aver letto la sentenza (mi ci gioco quello che volete, è troppo lunga da leggere e conosco i miei polli; gli è stato sufficiente riportare e commentare, secondo un copione già scritto, il lancio di qualche agenzia di stampa, che a sua volta ripete il medesimo copione…), hanno avallato la tesi sostenuta dalle femministe e dal loro codazzo mediatico-politico secondo la quale i magistrati (due donne e un uomo) sarebbero pervenuti a tale sentenza assolutoria nei confronti dei sei non sulla scorta dell’analisi lucida e imparziale dei fatti bensì del pregiudizio moralistico e ideologico nei confronti della ragazza, delle sue abitudini sessuali e del suo stile di vita.
Nulla di più falso. Chi avrà voglia di leggere con attenzione la sentenza capirà perfettamente che i giudici hanno invece agito in questo caso con grande equilibrio, limitandosi ai fatti, decostruendo fino a ribaltarla la sentenza di primo grado che peraltro non condannava i sei per violenza sessuale, come la vulgata mediatica ha lasciato intendere, ma per il presunto “abuso delle condizioni di inferiorità fisica e psichica della persona offesa”. I sei avrebbero cioè approfittato del suo stato di alterazione alcoolica (dimostratosi poi inesistente in seguito ai test etilici) e del fatto di essere in gruppo. E’ altresì fondamentale ricordare, cito testualmente la sentenza (siamo al primo capoverso di pag. 16), che “per la diversa ipotesi di atti sessuali con violenza o minaccia l’assoluzione del Collegio (di primo grado) non è stata impugnata dal PM e quindi è intangibile in quanto passata in giudicato”. Tradotto per i comuni mortali come il sottoscritto e fuori dal linguaggio giuridico (con il quale non ho nessuna dimestichezza), neanche la parte “offesa”, cioè la ragazza, ha contestato né tanto meno impugnato formalmente il verdetto del Collegio di primo grado.
Ora, non entro nel merito della sentenza perché bisognerebbe scrivere almeno quaranta pagine per spiegare nel dettaglio tutte le incongruenze e le contraddizioni presenti nel racconto della ragazza (se ne contano ben 29, tutte o quasi decisamente clamorose), confrontato con le testimonianze dei sei accusati e dei terzi, cioè di altre persone, ragazze e ragazzi presenti quella sera, e soprattutto con i riscontri oggettivi, i fatti e le prove concrete (documentazione sanitaria del Centro Antiviolenza e dell’ Azienda Ospedaliera Universitaria che escludono ogni violenza, rilievi, prelievi di materiale organico, analisi scientifiche, perizie sulle persone, sugli abiti, nell’abitacolo dell’automobile dove secondo la ragazza si sarebbe consumata la violenza, tabulati telefonici, raffronti ecc.) che dimostrano inequivocabilmente non solo che non c’è stata alcuna violenza ma che il tutto (molto poco in realtà, non entro nei dettagli “tecnici” e rimando alla lettura del testo…) si è svolto con il consenso pieno, attivo e consapevole della ragazza stessa. La quale, a un certo momento, nel corso della serata all’insegna della trasgressione (cosa assolutamente legittima), ha cambiato idea e ha deciso di porre fine al “gioco” (decisione altrettanto legittima e rispettata dai ragazzi) che lei stessa aveva iniziato poco prima praticando un atto sessuale orale nel bagno della discoteca ad uno dei ragazzi che lei stessa aveva indicato come facente parte del “branco” (fatto dimostratosi essere del tutto falso perché quest’ultimo era rimasto all’interno del locale e confermato anche dalla sentenza di primo grado) che le avrebbe successivamente usato violenza, e proseguendolo successivamente fuori della discoteca con gli altri.
Giunti a questo punto qualcuno potrebbe legittimamente porre una domanda:”Perché quella ragazza ha prodotto una falsa denuncia per violenza?” Le risposte potrebbero essere tante e diverse ma scelgo volutamente di non darle proprio perché non voglio entrare nel merito della sua sfera personale e psicologica e alimentare la tesi di chi sostiene che la sentenza di assoluzione dei sei ragazzi sarebbe stata viziata dal pregiudizio. Mi limito solo a dire che per quanto mi riguarda ho sempre sostenuto la libertà di ciascuno/a di vivere la propria sessualità in assoluta e totale libertà (nel rispetto della dignità, della libertà e dell’integrità fisica e psicologica degli altri e delle altre, ovviamente). Il che significa anche libertà di poter cambiare idea in qualsiasi momento e di ritirare il proprio consenso anche se si è nel bel mezzo di un atto sessuale consapevolmente iniziato, e conseguentemente a questa decisione, non essere sottoposti/e a nessun genere di pressione né tanto meno di violenza da parte del partner o degli eventuali partner. Esattamente quello che secondo i giudici è accaduto in quel frangente a cui invece ha fatto seguito la denuncia (evidentemente falsa) per violenze da parte della ragazza.
Ma la riflessione, a questo punto, diventa di natura politica, e cioè:”Perché questa sentenza non è accettata dalle femministe e da tutto il papocchio politicamente corretto mediatico-politico largamente dominante e viene contestata così duramente? Perché si lanciano anatemi sui magistrati accusati di essere intrisi di cultura maschilista e patriarcale dura a morire?
Per una serie di ragioni che finiscono per convergere. Se si accettasse la sentenza, si dovrebbe anche accettare che la ragazza in questione ha prodotto una falsa denuncia e che, come lei, tante altre donne le potrebbero produrre come in effetti le producono, se è vero come è vero, confermato da magistrati, avvocati, neuropsichiatri, psicologi, criminologi e funzionari di polizia – False accuse: un fenomeno emergente, evidenziato da fonti autorevoli – che la gran parte delle denunce per violenza in ambito familiare si rivelano essere false e prodotte per ottenere vantaggi in sede giudiziale (assegni di mantenimento, assegnazione dell’alloggio, affido dei figli ecc.).
E ammettere questo significherebbe ammettere che le donne, esattamente come gli uomini, non sono innocenti (né tanto meno colpevoli) per definizione, come invece il femminismo, più o meno in tutte le sue correnti, sostiene. Ammettere questo significherebbe rompere un tabù che il femminismo non può permettersi di rompere, pena la sua stessa dissoluzione.
Ma la sentenza in oggetto ha la colpa (o il merito, a seconda dei punti di vista…) di rompere un tabù ancora più grande, uno degli architravi dell’ideologia femminista. Quello cioè secondo cui è la percezione soggettiva della donna a stabilire cosa sia o non sia violenza, se un rapporto sessuale avuto con un uomo sia stato violento oppure no. Sulla base di questo paradigma, di fatto già in vigore, anche in un secondo momento, anche dopo mesi, addirittura anni (un caso celebre è quello di Assange, accusato dopo mesi di violenza sessuale da due donne per aver fatto sesso senza usare il profilattico… Assange: un regalo imprevisto ) una donna può avere un ripensamento e decidere che quel rapporto sessuale o quella relazione avuta con tizio o caio è stato in realtà un rapporto dove lei ha subito violenza, magari perché secondo la sua percezione successiva si è resa conto di essere stata psicologicamente manipolata oppure semplicemente perché lei in quel momento specifico (e questo secondo me è il caso della ragazza di Firenze) pensava di desiderare quel rapporto ma in realtà così non era per le più disparate ragioni (legate comunque alla sua percezione) e quindi sarebbe stata di fatto abusata da parte di qualcuno che avrebbe approfittato della sua condizione, diciamo così, di non piena e totale presenza psicologica.
E’ evidente che se questo è il paradigma, e lo è (e proprio il rifiuto ideologico e la contestazione virulenta della sentenza in oggetto lo dimostra…) il diritto, che non può che fondarsi su fatti e soprattutto su criteri oggettivi e non sulla percezione soggettiva, viene mandato a farsi benedire perché in questo modo una parte, quella femminile, diventa al contempo accusatrice e giudice nello stesso tempo. Il che non è oggettivamente possibile, è un assurdo giuridico e non solo, una vera e propria degenerazione, preludio di una deriva autoritaria e anche peggio, perché lo stato di diritto viene di fatto sostituito dall’arbitrio. Se vogliamo dal “capriccio” che si fa legge e che diventa arbitrio, come ai bei (si fa per dire…) tempi delle monarchie assolute e dei re e delle regine che decidevano cosa era bene e cosa era male…
Tutto ciò, per non parlare degli effetti devastanti che inevitabilmente questa concezione ha sulla relazione tra uomini e donne, perché è ovvio che stando così le cose, si crea un clima di vero e proprio terrore. Per un uomo, in questa situazione, ogni rapporto potrebbe essere a rischio, ogni relazione, non necessariamente intima, potrebbe essere oggetto di ripensamento da parte della donna e tradursi in una denuncia per violenza. Anche una telefonata di troppo potrebbe far scattare una denuncia per stalking. E il bello (si fa sempre per dire…) è che ci sono tante donne che pure si lamentano “che non ci sono più gli uomini di una volta, quelli che si proponevano senza troppi problemi!” (ma non erano quelli che le opprimevano?…).
Ma non è finita, pensiamo a quali effetti altrettanto devastanti possono esserci e ci sono in ambito lavorativo (di quelli in ambito familiare abbiamo già parlato) o simile (per esempio in ambito politico). Della serie:”Voglio far fuori qualcuno sul mio posto di lavoro oppure nel partito nel quale milito? Un collega, uno con il quale sono in competizione, o semplicemente perché non lo sopporto? Mi invento che mi ha molestata, magari solo perché è stato troppo insistente nel proporsi e questa sua insistenza ha provocato in me un forte disagio psicologico”. E così via…
Quei giudici, evidentemente in buona fede, non hanno pensato minimamente a quale vespaio avrebbero sollevato con la loro decisione, erano del tutto inconsapevoli del tabù che avrebbero incrinato. E proprio per questo vanno ringraziati. E’ la prova che hanno svolto il loro lavoro, una volta tanto, con serietà e soprattutto in autonomia, senza farsi condizionare dallo “spirito dei tempi” (scusate se è poco). E sappiamo che purtroppo non sempre, se non quasi mai, è così…