Premetto che questo articolo è una sorta di spartiacque. Dopo averlo letto, molti nostri/e lettori e lettrici si allontaneranno, anche con sdegno, altri e altre si affezioneranno ancor più; altri ancora, forse si avvicineranno. Ma, come ho detto già diverse volte, questo giornale non è stato fondato per rassicurare né per contare il numero delle visite.
Andiamo all’oggetto.
“Per capire chi vi comanda basta scoprire chi non vi è permesso criticare”. Questa frase è stata attribuita a Voltaire. Se sia stato effettivamente lui a pronunciarla o altri, poco conta. Ciò che conta è che è assolutamente condivisibile, per lo meno per quanto mi riguarda.
Già da tempo ho cominciato a fare questo gioco, una sorta di “m’ama, non m’ama”, come si faceva da ragazzini con le margherite, e ho provato ad applicarlo alle diverse vicende del mondo. Facendo questo gioco, mi sono reso conto che nell’attuale contesto storico che ci è toccato in sorte di vivere, due cose, molto diverse fra loro (ma con forti punti di contatto che fra poco vedremo), sono assolutamente incriticabili e incontestabili, pena l’ostracismo, l’emarginazione sociale e umana, l’esposizione al pubblico ludibrio, la chiusura di ogni spazio pubblico e molto spesso anche privato, la fine di ogni possibilità di inserimento, di carriera o di promozione sociale. Queste due “cose” sono Israele e il femminismo.
Ho visto tante persone nel corso della mia vita, anche intelligenti, colte, oneste e degne di stima, fare brillanti carriere accademiche (o in altri ambiti) nonostante fossero comuniste rivoluzionarie dichiarate e militanti, anche in formazioni di estrema sinistra. Ho visto tanti altri dichiarare e professare pubblicamente il loro anticapitalismo e il loro antiamericanismo viscerale, politico e ideologico. Anche in questo caso, le loro posizioni non hanno costituito un ostacolo alle loro carriere e al loro excursus professionale.
Se qualcuno fra questi (o altri) si fosse invece sistematicamente e pubblicamente impegnato nel sostenere che Israele è uno stato razzista, guerrafondaio e terrorista, che specula vergognosamente sulla tragedia dell’Olocausto per coprire i propri crimini, i cui confini non sono ancora stati volutamente definiti perché è loro ferma intenzione continuare ad espandersi e rubare altra terra agli arabi, il cui atto di fondazione è un’aggressione a mano armata nei confronti del popolo palestinese, e che per tali ragioni è da considerarsi un’entità illegittima, non solo non avrebbe fatto carriera in ambito accademico (o in qualsiasi altro ambito) ma non sarebbe neanche stato assunto come bidello.
E questo è un fatto che non può essere negato, e chi lo nega è in malafede.
Nella stessa misura, subirebbe la stessa sorte chiunque osasse mettere radicalmente in discussione o anche semplicemente criticare la narrazione ideologica femminista ormai da tempo largamente dominante. E anche questo è un fatto. E anche in questo caso chi lo nega è in malafede.
Piaccia o no, è così. E allora una riflessione sorge spontanea, perché se le cose stanno effettivamente in questo modo, devono necessariamente esserci delle ragioni.
Partiamo dalla prima questione: Israele.
L’infame speculazione ideologica, morale e politica sulla tragedia dell’Olocausto e sulle milioni di persone, non solo ebree, massacrate nei lager nazisti, è ciò che consente a Israele di fare il bello e il cattivo tempo nei territori palestinesi occupati e in tutto il Vicino Oriente. E’ ciò che giustifica i suoi crimini spacciati per una sorta di compensazione per i torti subiti. Per questa ragione il dramma dell’ Olocausto, che non è figlio del demonio o della mente di un folle, ma l’ inevitabile e logica conseguenza di un imperialismo criminale (come altri), quello nazista e dei regimi fascisti suoi alleati, armato di una ideologia razzista (come altre), è stato elevato ad una sorta di nuova ideologia, di nuova religione secolarizzata. L’Olocausto è stato quindi eretto a “male assoluto” per eccellenza, dopo naturalmente essere stato decontestualizzato e destoricizzato dal punto di vista storico e politico. Questa operazione si è resa necessaria perché si doveva invece contestualizzare, per poterlo giustificare, l’altro genocidio, quello atomico, scatenato sul Giappone dagli USA (Hiroshima e Nagasaki necessarie per porre fine alla guerra…).
Tale speculazione ideologica ha come “mission” anche e soprattutto quella di paralizzare psicologicamente l’opinione pubblica mondiale e in particolare europea, attraverso un processo sistematico (già avvenuto) di interiorizzazione del senso di colpa per quanto accaduto (i lager nazisti, la persecuzione e il genocidio degli ebrei). Naturalmente la storia è zeppa di genocidi, basti pensare a quello commesso dai bianchi, liberali anglosaxon protestant ai danni dei nativi americani o a quello dei cattolicissimi spagnoli e portoghesi in America Latina e tutti insieme allegramente quello perpetrato nei confronti degli africani deportati e ridotti in schiavitù (solo per citare i più noti…). Non ci risulta però che quel genocidio abbia avuto effetti psicologicamente paralizzanti né che abbia creato particolari sensi di colpa nell’opinione pubblica americana, tant’è che gli USA hanno continuato fin da allora indisturbati nelle loro politiche e guerre imperialiste in tutto il mondo. Anzi, quel genocidio è stato di fatto anch’esso inserito, pur in seguito ad una specie di lavacro purificatore (l’industria cinematografica americana è stata determinante in tal senso), in quella sorta di “messianica vocazione civilizzatrice” che l’America ha da sempre attribuito a se stessa e di cui si è auto investita (senza che nessuno glielo abbia mai chiesto, ovviamente…).
L’altra considerazione, di natura politica (ma non separabile da quella ideologica) è la seguente: se ciò è accaduto è dovuto al fatto che evidentemente il sistema capitalistico occidentale è in larga parte dominato dai gruppi di potere economici e finanziari sionisti (è bene ricordare che ebraismo e sionismo non devono essere assolutamente sovrapposti) che sono in grado di esercitare un peso e un condizionamento determinanti sui governi occidentali e in particolare su quello americano, al punto di determinarne le scelte politiche strategiche e anche l’ideologia di riferimento.
L’ideologia femminista, mutatis mutandis, segue esattamente lo stesso percorso perché basata, concettualmente parlando, sullo stesso identico senso di colpa scientemente instillato nella psiche degli uomini. La narrazione femminista ha infatti come presupposto un postulato che, in quanto tale, non può essere messo in discussione, e cioè l’oppressione millenaria del genere femminile da parte di quello maschile. Tutto ciò genera e ha generato negli uomini un senso di colpa profondo e inestinguibile che essi hanno interiorizzato (né più e né meno di come gli europei hanno interiorizzato il senso di colpa per la Shoah) finalizzato a paralizzarli psicologicamente frustrando sul nascere la possibilità stessa da parte loro di abbozzare una critica. Anche il deterrente, non a caso, è lo stesso, anche se agisce su un piano simbolico ancora più profondo perché va a toccare l’identità sessuale degli uomini, sia come genere che come singoli individui: ostracismo, emarginazione sociale e umana, esposizione al pubblico (e anche privato, in questo caso) ludibrio, chiusura di ogni spazio pubblico e il più delle volte anche privato, fine di ogni possibilità di inserimento, di carriera o di promozione sociale.
Non possiamo ora entrare nel merito, per ovvie ragioni di tempo e spazio e data la complessità del tema. Quello che voglio evidenziare in questa sede è come queste ideologie siano molto simili dal punto di vista del metodo (e in parte anche del contenuto). La prima specula su un fatto certo, l’Olocausto, la seconda sulla base di un postulato (l’oppressione millenaria del genere femminile da parte del genere maschile) dato però per certo e innegabile né più e né meno del primo (la condizione del genere femminile, nella sua totalità, viene dal femminismo equiparata a quella degli ebrei nei lager o degli schiavi neri nelle piantagioni di cotone americane o di qualsiasi altra etnia, gruppo sociale o comunità che sia stata oppressa nel corso della storia). Non è casuale, in entrambi i casi, che chi osa mettere in discussione o semplicemente criticare queste due ideologie, viene accusato di negazionismo. Accusa infamante che serve e a creare un clima di terrore psicologico finalizzato a sua volta a frustrare sul nascere ogni possibile critica.
Ma tutto ciò, sempre alla luce di quella citazione attribuita a Voltaire con cui abbiamo scelto di aprire questa riflessione, ci dice anche altre cose. Ci dice che il sistema (capitalistico) dominante si sente al sicuro al punto tale da consentire una critica anche radicale alla sua stessa struttura economica e politica, ma non al punto tale da consentire una critica altrettanto radicale alla sua ideologia (sovrastruttura), o meglio ad alcune parti della sua ideologia che sono quelle che abbiamo appena posto all’attenzione. E ci dice anche che la sovrastruttura può assumere talvolta, come in questi casi, una funzione strategicamente ancora più importante della struttura (alla quale è comunque strettamente legata), se è vero che i rapporti di produzione capitalistici possono essere criticati (per lo meno in questa fase…) ma non la legittimità dello stato di Israele e la narrazione femminista.
Se è dunque vera l’affermazione di Voltaire, e se è vero che la “questione israeliana” e il femminismo sono sottratti ad ogni possibilità di radicale critica e non possono essere messi in discussione senza essere sanzionati (per ora solo nelle forme suddette), se ne deve necessariamente dedurre che la catena di comando di questo sofisticato e complesso sistema di potere che è l’attuale dominio capitalistico, vede al suo vertice quelle due istanze ideologiche.
La logica mi dice questo. Sempre pronto laicamente a ricredermi, però a colpi di logica e non di chiacchiere, finte di corpo, come si usa dire in gergo calcistico, o arrampicate sugli specchi.