Abbozzo un’analisi del voto, sforzandomi di non essere troppo prolisso, andando per punti.
Innanzitutto è stata la tornata elettorale più grigia e scialba della storia di questo paese, per lo meno a mia memoria, anche perché dall’esito ampiamente scontato.
Vince un partito di destra reazionaria e filo atlantista (su questo e su molto altro non differisce in nulla dal PD…) che ora dovrà far digerire agli italiani lo scotto della guerra (e delle sanzioni) alla Russia. Così come in altre occasioni fu individuata la “sinistra” come più adatta a svolgere con più efficacia questo ruolo – cioè gestire politiche impopolari e antipopolari – ora è il turno di Fratelli d’Italia, proprio perché gode di maggiori consensi fra i ceti popolari rispetto ad un partito come il PD ormai votato solo nei centri storici e nei quartieri medio alto borghesi delle grandi città.
In una situazione di crisi economica già in stato avanzato, ora ci ritroviamo anche la guerra che andrà a peggiorare le condizioni dei tanti che si trovano già in una condizione di precarietà e ad impoverire i ceti piccolo e medio borghesi.
Il “nuovo” (si fa per dire…) governo dovrà gestire questa situazione pesantissima, attento a non deviare dai diktat della NATO e dell’UE pena la chiusura dei rubinetti da parte di quest’ultima. Quindi stiano pure tranquille le piazze, i salotti e i salottini della variegata “sinistra” liberal e radical, che la Meloni, al di là dei soliti richiami alla famiglia tradizionale e al solito vetusto armamentario ideologico vetero conservatore, non adotterà nessun provvedimento concretamente discriminatorio nei confronti delle minoranze lgbt+ (la sola cosa che sta ormai a cuore alla “sinistra” liberal e radical) che continueranno a svolgere tranquillamente le loro variopinte, folkloristiche e innocue parate. Certo, non si può pretendere che sia proprio lei a ritirare fuori dal cilindro il DDL Zan, ma insomma…
Un peso determinante all’interno della nuova compagine governativa lo avrà Forza Italia, partito ultra liberista, ultra atlantista (al di là delle chiacchiere di Berlusconi a Porta a Porta che servono a rassicurare tanti medi e piccoli imprenditori preoccupati per le loro sorti e i loro profitti, a causa delle sanzioni alla Federazione Russa, sul fatto che FI non li abbandonerà) e ultra europeista che fungerà da “gendarme”, diciamo così (col PD che ringrazia per cotanto servigio), e che vigilerà sull’andamento e sulle scelte operate dalla premier.
Qualora la Meloni uscisse dal seminato, Forza Italia ritirerà i suoi colonnelli, il governo cadrà e fine della festa. Fine, a quel punto, anche dell’esperienza della prima donna nonché prima post fascista al governo (per inciso, svanita per la “sinistra” la possibilità di celebrare la prima donna al governo, è come uno scudetto mancato all’ultima giornata a causa di un clamoroso autogol). A quel punto solito governo di larghe intese o istituzionale o di responsabilità (le varie formule le conosciamo ormai bene tutti…) col solito tecnocrate eletto a salvatore della patria.
Per il resto continuerà l’attacco pesantissimo allo stato sociale, al mondo del lavoro e ai diritti sociali, a cominciare dal reddito di cittadinanza che il “nuovo” governo farà di tutto per abolire. E molto probabilmente ci riuscirà perché ha una maggioranza molto ampia per farlo e perché godrà dell’appoggio esplicito in tal senso anche delle quinte colonne, Renzi e Calenda. Le multinazionali continueranno a fare il bello e il cattivo tempo senza pagare un euro di tasse e la grande finanza continuerà a tenere sotto ricatto il paese. Insomma, nulla che già non avvenisse con i precedenti governi e in particolare con Draghi.
Diamo ora un’occhiata allo stato dei vari partiti.
Il PD, che deve cercare di recuperare consensi e rivitalizzare un partito ulteriormente ingrigito più di quanto già non fosse dalla leadership di Letta, è ora di fronte al’amletico (si fa sempre per dire…) dilemma. Optare per il governista, amministratore, pragmatico, efficientista, modernista, tipico prodotto dell’apparato emiliano pidiessino-diessino-piddino, Bonaccini, oppure per la “movimentista”, femminista, lgbt+ e un po’ più “radical di sinistra” Schlein? Entrambe le scelte sono peggiori dal mio punto di vista ma, ovviamente, la questione non è affar mio. Il PD resta il principale “partito di sistema” e coloro che pensano che possa tornare ad essere un partito anche solo timidamente socialdemocratico, sono degli illusi o dei politicamente sprovveduti.
Nella tragedia di un mondo del lavoro (e delle classi subalterne nel loro complesso) frammentato, diviso, indebolito, precarizzato e privo di una vera rappresentanza politica, il partito guidato da Conte – con tutte le sue enormi contraddizioni, ambiguità e assenza di fondamenta teoriche e politiche – si propone come l’unica forza in grado, sia pure debolmente, di difendere ciò che resta dei diritti sociali. La sua discreta tenuta elettorale è stata dovuta alla promessa di difendere il reddito di cittadinanza, senza se e senza ma. Debole e ambiguo per quanto concerne la politica estera, Giuseppe Conte è comunque meno guerrafondaio e sicuramente meno incline all’ atlantismo ideologico e aprioristico rispetto agli altri partiti di sistema. Da che era considerato (ed era, in effetti) un outsider, si è districato con notevole destrezza in questi anni, passando dall’alleanza con la Lega a quella con il PD al sostegno al governo Draghi con il quale però ha successivamente lavorato per creare le condizioni della rottura, che poi è in effetti avvenuta. Ha messo il suo cappello ad un partito da tempo in caduta libera e in effetti oggi il M5S ha ben poco di ciò che era alle origini. Quello di Conte può essere definito, sia pure impropriamente, come un partito “neo democristiano di sinistra”, con una vocazione alla mediazione sociale (anche se in una logica assistenzialistica) e al rilancio del pubblico, quindi del ruolo dello stato, in economia. Dati i tempi in cui ci troviamo a vivere, è già qualcosa rispetto al nulla, o meglio rispetto alla deriva liberista e guerrafondaia in corso. Però, non facciamoci illusioni, il partito di Conte non ha né le fondamenta culturali e politiche, né la capacità, né la volontà politica di andare alla costruzione di quell’auspicabile nuovo grande soggetto di classe, popolare e Socialista che resta l’obiettivo strategico verso cui lavorare, il solo in grado di far tornare realmente protagonisti i lavoratori e i ceti popolari.
Per il resto c’è ben poco da dire. Il tentativo al quale ho aderito, pur fra tante perplessità, di Italia Sovrana e Popolare (scegliendo di proseguire, da indipendente, il rapporto avviato con il PC guidato da Marco Rizzo, che mi candidò a Roma alle scorse amministrative) è obiettivamente uscito sconfitto dalle urne.
Italia Sovrana e Popolare non è stata in grado di intercettare il dissenso diffuso in questo paese e di rappresentare un possibile interlocutore per quella massa sempre più crescente di persone che non sono neanche andate a votare. Le ragioni di ciò sono molteplici e saranno oggetto, mi auguro, di una profonda riflessione – quanto più possibile aperta – che dovrà essere avviata, in primis dal PC, sulla strada da intraprendere e sulle scelte strategiche da operare.
Fonte foto: Abruzzo Live Tv (da Google)