Quando ero un ragazzino, mio padre mi raccontava le sofferenze e le angherie patite sotto il fascismo. Mi raccontava, anche, di quando entrò nelle Brigate Matteotti (io avrei preferito le Brigate Garibaldi!) per combattere i nazisti e i loro giannizzeri della repubblichina di Salò. Un certo ‘reducismo’ è fisiologico e normale. Ma il reducismo è come l’alcol: piccole dosi vanno bene, altrimenti diventa insopportabile. Naturalmente, per chi ascolta (o legge) il reduce.
La pagina bianca
Dato che anch’io sono un reduce del Sessantotto, ho raccontato varie volte – ma con moderazione – quei tempi ai miei figli. Lo stesso farò, appena sarà in grado di capire e se sarò ancora in questa valle di lacrime, con la mia nipotina Sabrina, che in questi giorni compie un anno di vita.
Ho deciso di raccontarle la storia dei Katanga, che hanno sempre avuto una cattiva stampa, sia a destra sia a sinistra.
So già che qualcuno dirà che io voglia fare propaganda approfittando della mente di Sabrina, che per un certo periodo di tempo sarà come una pagina bianca. Propaganda? No, sarà solo ed esclusivamente contro-informazione, come si diceva una volta. D’altra parte, la mia nipotina verrà nel corso degli anni letteralmente bombardata dalle tesi che vengono da Washington e divulgate da tutti i media occidentali -uniti come una falange macedone- che le spacciano come l’assoluta verità detta da giornalisti ‘liberi ed indipendenti’.
La genesi in Congo? Niente affatto
E allora, cara ed amata mia nipotina: durante il Sessantotto, il più famoso Servizio d’ordine del Movimento studentesco fu sicuramente quello dell’università Statale di Milano. Il nome dei componenti, katanga o katanghesi, è ormai passato alla storia.
Perché un nome simile? Perché scegliere un nome che ricordava i mercenari bianchi europei che avevano organizzato nel 1960 la fallita secessione, guidata da Mose Ciombé (1919-1969), del Katanga, regione diamantifera dell’ex Congo Belga appena diventato indipendente?
Da un certo punto di vista, quei mercenari – varie centinaia – erano anche responsabili dell’assassinio di Patrice Lumumba (1925-1961), fondatore del Movimento Nazionale Congolese di Liberazione e Primo ministro della neonata Repubblica Democratica del Congo, appunto l’ex Congo Belga. Se la ‘contestazione’ studentesca era antimperialista e sosteneva il Vietnam, come mai questa esaltazione dei mercenari in Africa, che operavano al servizio di Belgio e Usa?
La storia del nome dei katanga della Statale parte dalla Francia. Il 12 giugno ’68, Bertrand Girod de L’Ain, giornalista di Le Monde, entra nella Sorbona occupata e fa conoscere ai lettori uno dei piccoli gruppetti ‘rivoluzionari’ che in quei mesi sono spuntati come funghi dopo una notte di pioggia.
Girod de L’Ain intervista uno strano tipo di studente: ha 28 anni, si fa chiamare Jakie le katangais e afferma di essere stato due anni mercenario nel Katanga.
I Katanga della Sorbona ‘arrivano’ a Milano
Jakie ha fondato il CIR (Comité d’Intervention Rapide), primo gruppo della Sorbona a dotarsi di caschi, bastoni, spranghe. Nella Sorbona occupata i katanghesi non solo cucinano il cibo, ma preparano anche i ‘cocktail Molotov’, come si può vedere in questo raro e brevissimo video (Les Katangais à la Sorbonne).
Jakie il katanghese scompare ben presto dalla scena politica francese: il 14 giugno, due giorni dopo l’intervista a Le Monde, il Comité d’occupation de la Sorbonne decreta l’espulsione dall’università di Jakie e del suo gruppo, tra cui vi sono altri due ex mercenari delle guerre di Corea e d’Algeria.
Jakie torna nell’oblio, il nome ‘katanga’ diventa, al contrario, molto conosciuto in Francia e, poco tempo dopo, popolarissimo in Italia.
Sono i maggiori giornali italiani che, infatti, usano questo termine, che è legato alle efferatezze dei mercenari, per definire il nascente Servizio d’ordine del Movimento Studentesco della Statale di Milano.
Quel nome è ingombrante. Che fare? Contestare il nome usato dai giornali? E come? In breve: gli studenti della Statale si appropriano ironicamente del nome e ci fanno sopra una canzoncina: ”Se non ci conoscete guardateci la spranga, noi siamo quelli del Settimo katanga”. L’ironia del Movimento, si sa, esplose nel ’77, ma il seme fu gettato indubbiamente anche nel ’68 e dintorni.
I katanghesi erano inquadrati in squadre, ognuna con un nome e un responsabile. I responsabili delle varie squadre rispondevano direttamente ad un alto dirigente del Movimento Sudentesco il quale, a sua volta, doveva rendere conto alla Direzione del MS.
La Brigata Garibaldi
L’inno ufficiale dei katanga era la canzone partigiana La Brigata Garibaldi, poi vi erano altre canzoni in cui si promettevano vari e diversi tipi di sofferenze ai fascisti o ai sanbabilini. I fascisti di Milano venivano chiamati così perché stazionavano, armati di pistole e coltelli, in piazza San Babila.
Quali erano i compiti dei katanga? Fare da ‘cuscinetto’ tra i partecipanti ai cortei e le forze di polizia durante eventuali scontri; isolare e allontanare dall’università o dalle manifestazioni provocatori, spie, infiltrati; costringere i fascisti a rinunciare a qualsiasi attività politica costituita, per lo più, da pestaggi ed aggressioni a giovani democratici o di sinistra.
I katanga durante le manifestazioni avevano un abbigliamento costituito da casco da motociclista, giacca di tipo militare con ampie tasche, scarpe anfibie. Foulard e guanti completavano questa ‘divisa’, che non prevedeva assolutamente l’eskimo, adottato invece dai componenti di altre formazioni politiche di estrema sinistra. Nei giorni in cui non si prevedevano scontri con le forze di polizia o con l’estrema destra i katanghesi amavano mettersi in testa, come segno di riconoscimento, la coppola o berretto – come vengono chiamati in Sicilia e in Lombardia quei cappelli.
Negli scontri ravvicinati, mentre poliziotti e carabinieri usavano manganelli, bandoliere a mo’ di frusta, calci dei fucili lacrimogeni, i katanga erano dotati della Hazet, una delle più famose marche di chiavi inglesi. Per vari anni, divenne fonte di narrazione una memorabile sconfitta patita da un plotone di poliziotti. Il plotone adottò una nuova tattica, ovvero una disposizione a testuggine. I poliziotti furono attirati con un trucco in una piccola piazza con solo due uscite. A causa dell’ingombro causato dagli scudi nella formazione a testuggine, il plotone fu ‘polverizzato’.
I katanghesi furono certamente tra gli alfieri della violenza che imperversava in quegli anni; molti furono gli errori compiuti da parte della cosiddetta ‘sinistra rivoluzionaria’ e da parte, anche, del Movimento Studentesco.
Sbaglia, però, chi dovesse credere che quegli anni furono solo violenza o guerra civile, anche se, in fondo, simulata. Cara nipotina: noi del MS, che poi si tramutò in MLS (Movimento Lavoratori per il Socialismo), avevamo un obiettivo politico: gettare le basi affinchè l’Italia passasse da una democrazia rattrappita ad una democrazia diversa e più avanzata, ovvero una ‘democrazia progressiva’. Quello era il nostro intendimento, che spero verrà portato a termine dalla generazione della piccola Sabrina.