Nelle TV generaliste si ripete l’appello ad eleggere una Presidente della Repubblica, al punto che in una TV si è ribadito il concetto in modo pleonastico: presidentessa donna. La saga della chiacchiera gira a vuoto e mette in scena un’altra puntata dell’eterna simulazione a cui il neoliberismo nella sua fase apicale e decadente ha abituato il popolo ridotto a spettatore della tragicommedia in corso. L’ex ministro dell’istruzione Vittoria Fedeli ha dichiarato:
“È una forza del Paese -ha concluso Fedeli- avere donne con prime responsabilità nei punti più alti della rappresentanza politica. Quello che non può succedere dal mio punto di vista, come da quello di molte donne e uomini Democratici, è scegliere due uomini per la presidenza della Repubblica e per la presidenza del Consiglio. No al monopolio maschile delle prime responsabilità”.
In una nazione “normale”, si chiederebbe l’elezione alla Presidenza della Repubblica, il cui fine è rappresentare tutti i cittadini, una persona di ferma fede costituzionale. In un momento storico nel quale sono riapparse discriminazioni e si mette la museruola ai dissenzienti, una figura credibile e politicamente all’altezza potrebbe essere il collante istituzionale di una nazione divisa ed impaurita. Il politicamente corretto nel suo vuoto concettuale evita di affrontare il problema sulla qualità della politica per soffermarsi sulla numerazione dei Presidenti “tutti maschi” e sull’assenza di figure femminili.
L’elezione di una donna, un semplice cambio di genere, rappresenterebbe il cambio di passo che la nazione attende secondo il mainstream. Si fa appello ai curricula di alcune donne pari a quelli degli uomini. Marta Cartabia è una delle donne nominate e portate ad esempio per titoli e ruoli ricoperti pari agli uomini. Cambia il genere, ma il potere è sempre uguale a se stesso.
Il punto cruciale è questo: il potere si autolegittima con il cambio di genere, e con donne che riproducono la classe dirigente e relativa politica in modo pedissequo, per cui uomo o donna che sia non cambia nulla, ma tutto resta uguale. Il potere, ormai dominio conclamato, usa il cambio di genere per l’elezione della Presidenza della Repubblica come strumento per distogliere l’attenzione dai problemi reali. I diritti sociali negati, la gestione privata del pubblico e l’introduzione di forme di discriminazione sempre più inquietanti ed oppressive restano dettagli per la politica e per i media accoccolati all’ombra della simulazione. Si erigono totem bugiardi come “l’uguaglianza di genere” per coprire con false verità la condizione generale della popolazione sempre più precaria e sola. Una nicchia di privilegiati ha trasformato l’uguaglianza di genere in salsa anglofona l’obiettivo per eccellenza.
Dacia Maraini è intervenuta per ribadire tale necessità, nessuna parola sulla precarietà dei lavoratori e sulla deriva liberista. Far passare, ancora una volta, il messaggio che donna è meglio, significa confermare la deriva razzista e bugiarda secondo la quale vi è un genere migliore di un altro a cui bisogna gradualmente cedere il potere. Alla politica non interessa il genere ma la fedeltà ai poteri forti, è questa l’unica verità che cambiando potrebbe segnare un reale cambiamento. In attesa “dell’anno che verrà” dobbiamo sorbirci la commedia della ricerca della Presidente donna che riafferma i principi dell’oligarchia esattamente come gli uomini. All’horror vacui dei processi di derealizzazione dobbiamo opporre la verità, che ci viene incontro, malgrado le simulazioni sul cambiamento che non c’è in tutta la sua evidenza. Non dobbiamo cadere nella guerra tra i generi, perché l’unica vera guerra in atto, è la guerra di classe che le classi popolari, al momento, stanno tragicamente perdendo.