Il Panopticon e la Grande Madre

Tecnologie e regressione

Il panopticon è la cifra dello sviluppo delle tecnologie, le quali nella propaganda sono presentate come servizio al cittadino, ma nella concretezza quotidiana sono i mezzi attraverso cui si attua il controllo globale. Vi è da porsi il problema della motivazione del loro enorme successo, dell’accettazione fatale e dogmatica di esse. Ad una osservazione più attenta rispondono ad un bisogno profondo dell’umanità: la necessità di essere protetti. Le tecnologie divengono e sono il grande occhio che segue adolescenti ed adulti in ogni loro gesto: ogni ansia è calmierata dalla loro presenza, poiché difficoltà improvvise possono essere risolte mediante comunicazioni veloci. Il raggio d’azione di esperienze estreme si allarga, in quanto esse promettono contatti veloci in situazione di pericolo, si pensi agli sport estremi per giovani alla ricerca di forti emozioni in mancanza di un senso  etico profondo, oppure il raggio d’azione si restringe, si vive in casa, in ambienti minimi, ma con un click si può comunicare e comprare al riparo dal mondo. Le tecnologie divengono, in quest’ultimo caso, delle feritoie virtuali da cui osservare il mondo. Contingenze opposte svelano in modo più immediato e chiaro il fine delle nuove tecnologie: rispondono ad un bisogno di sicurezza, sono paragonabili ad un cordone ombelicale invisibile, ciascuno reca con sé “una piacevole ed inconsapevole” regressione ad uno stato fetale.

 

La pancia globale

Ci si sente nella pancia del mondo globale. Nessuno osa smentire i magnifici successi dell’avanzare della grande madre virtuale e globale. La rete diviene il simbolo effettuale di un’infinita madre tecnologica razionale ed anaffettiva che ingloba l’umanità: madre matrigna che mentre protegge omogeneizza, priva l’esserci di ogni determinazione sino a renderlo “nulla”, ovvero un immenso indistinto nel quale le identità si assottigliano fino ad evaporare, poiché inibisce la crescita  e la formazione. La dipendenza dalla grande madre rete forma creature che dietro la soglia delle tecnologie non hanno avuto la possibilità di porre ordine al caos delle loro emozioni, non hanno potuto conoscere il loro carattere e la loro resistenza alle frustrazioni. Le tecnologie sono donative, mentre offrono servizi e controllo, ben distribuiti per censo, riducono la conoscenza di sé e  la scoperta del telos comunitario dell’umanità. Sostituiscono la relazione con l’offerta di siti da cui scegliere dal catalogo virtuale la momentanea compagnia. Agiscono per impedire ogni ricerca reale, ogni dolore con il quale saggiare la propria forza ed autonomia. La loro presenza è simile ad una madre invadente che continuamente controlla il proprio pargolo, ne invade lo spazio pubblico e privato fino a renderlo dipendente e fragile. La grande madre è matrigna, poiché non vuole l’autonomia dei suoi sudditi, ma li vuole tenere al guinzaglio, li lascia liberi, perché ne estrae informazioni con cui irrobustire il suo intervento sulla psiche di ciascuno. Vuole conoscere ogni capello dei suoi clienti-figli, in quanto la loro dipendenza è la sua forza. È la nuova divinità nella forma antropomorfa del femminile proiettato nelle tecnologie e specialmente nel loro utilizzo collettivo. La rete si nutre della destabilizzazione emotiva e psichica dei suoi sudditi. La rete è la gran madre matrigna usata da multinazionali, finanzieri e capitalisti per dominare il mondo con l’indebolimento emotivo e razionale dei nuovi sudditi globali. Si usa l’archetipo della madre che scorre carsico nella rete per abbattere ogni resistenza e consolidare un imperium tragico e pericoloso. Gli adulti (genitori, docenti, educatori) ne favoriscono il puntellamento in nome del mito della sicurezza, rinchiudono le nuove generazioni in spazi virtuali nei quali sono esposti e già in vendita. Nelle istituzioni si tace sugli effetti e sugli usi nefasti, le voci dissenzienti sono tacitate gettando su di loro ombre di ridicolo. Si occultano gli aspetti perniciosi dell’uso massivo delle tecnologie in nome  del “ progresso” acefalo.

 

Prometeo scatenato

Prometeo scatenato è tra di noi, ha l’aspetto della rete, di un immenso grembo in cui ricacciare l’umanità, che diviene la nuova caverna della contemporaneità: la più insidiosa di tutte, perché offre libertà di movimento, pulsioni in libertà, ma nel contempo sottrae autonomia, autodisciplina e consapevolezza, tutto avviene in modo automatico e lineare. La DAD è un esempio di questa logica dell’ipercontrollo che cresce, si dirama, invade ogni spazio: le comunicazioni tra docenti ed alunni sono continue, anche fuori l’orario di lezione, in questo modo agli alunni è sottratto il tempo per confrontarsi con le difficoltà didattiche, la soluzione è nel docente-mamma pronto a soccorrerlo. I genitori comunicano con i docenti quotidianamente; la rete si estende e si stringe intorno a tutti, è il “cappio” che tutto dissolve. Il flusso di informazioni non crea comunità, ma monadi parlanti che utilizzano le informazioni in funzione della competizione e della divisione mondiale. Gli spazi reali, gli unici nei quali si possono costruire luoghi di comunicazione comunitaria, sono sostituiti da incontri veloci e virtuali: la chiacchiera prende il posto del concetto. La rete è la madre infinita costituita da una miriade di punti materni-controllo. Il panopticon virtuale cela la sua verità: con il discredito mediatico e culturale sul maschile simbolico-valoriale e sul limite, il femminile si riproduce nelle tecnologie, la rete si estende e promette eterna protezione, il risultato ultimo è la dipendenza assoluta. Come si è arrivati a questo?

 

Senza padri

Ogni cultura è viva nel conflitto dialettico tra principi apparentemente opposti, ma in realtà l’uno equilibra l’altro, si pensi al polemos eracliteo. Il maschile ha il suo senso se si relaziona al femminile e viceversa. La distruzione del maschile, la perenne propaganda che lo rappresenta come omicida e pericoloso, inevitabilmente favorisce il trionfo del femminile, nel modello anglosassone, oggi massima espressione dell’asservimento alla società liquida. In assenza del limite, le tecnologie possono non solo essere usate e consumate senza che vi sia educazione al loro uso contestuale, ma specialmente il trionfo del femminile è l’affermarsi della cultura del controllo e dell’avversione ad ogni pericolo e frustrazione. Le tecnologie divengono l’estensione del femminile e l’espressione della sconfitta del maschile. Ovunque vi dev’essere omogeneità tra maschile e femminile, al maschile è concessa parola solo se ammette “la naturale superiorità e sensibilità del femminile”. Il maschile deve cedere il positivo e proficuo senso del limite in nome del principio femminile del controllo e del “dono” senza regole e razionalità. La violenza della maternità matrigna non è riconosciuta, per cui si plaude anche a sperimentazioni di nuove famiglie monosessuali che usano il grembo materno altrui per affermare il loro desiderio di paternità-maternità. Il centro deve tornare ad essere il concetto e non la rete, l’educazione deve avere come fine la formazione della persona e non l’uso meccanico delle tecnologie, l’antiumanesimo è la grande vittoria del Prometeo scatenato del capitale.

 

Nuovi pregiudizi

Una società sana vive della preziosa dialettica tra femminile e maschile, la diade è manifestazione di principi capaci di autolimitarsi per permettere la vita al plurale.  Da abbattere sono i pregiudizi positivi e negativi: non esistono generi assolutamente negativi o positivi, ma bisogna imparare, in primis, che le persone in quanto unità complesse non possono essere ridotte all’unica variabile del genere. La diversità è la possibilità della convivenza fra prospettive diverse che si completano, e specialmente, palesano aspetti differenti della realtà, i quali colgono aspetti essenziali da relazionare. L’identità è possibile solo nella relazione con altre identità.  Se prevale l’incultura del modello unico, maschile o femminile, non importa quale prevale, non può che esservi una regressione generale, le cui colpe cadranno sulle future generazioni che attraverseranno la storia nella cecità del pensiero unico e dei suoi perniciosi ed inaspettati effetti. Dovremmo avere il coraggio di rallentare o fermarci per capire cosa stiamo dando-donando e specialmente cosa stiamo togliendo alle nuove generazioni, ma anche a noi adulti. Non si tratta di rifiutare la contemporaneità per la conservazione, ma di disporci in modo critico ed intellettualmente onesto. I figli della rete non possono che essere il prologo per tempi inauditi. Dobbiamo armarci di coraggio civile per fermare l’inverno dello Spirito che avanza.

Why Facebook and Twitter are the virtual Panopticons of our time - The  Philosopher's Zone - ABC Radio National

4 commenti per “Il Panopticon e la Grande Madre

  1. A.
    12 Dicembre 2020 at 16:36

    >Dovremmo avere il coraggio di rallentare o fermarci per capire cosa stiamo dando-donando
    Non cambierebbe nulla.

    >Non si tratta di rifiutare la contemporaneità … ma di disporci in modo critico ed intellettualmente onesto.

    Appunto.

    Saluti

  2. not in my name
    2 Gennaio 2021 at 18:01

    Grazie a Dio c’è ancora qualcuno, su questa terra, capace di svincolarsi dai dogmi del pensiero unico dominante e dai suoi tentacoli proteiformi, che ci avviluppano e avvolgono da ogni parte…

    Relativamente all’archetipo della Grande Madre “Cibele” propongo la lettura attenta di Alexsander Dugin, grande analista e conoscitore dei miti “profondi” (deep myths) di questo nostro tempo malato ed enigmatico, quello che gli hindu chiamano “Kali Yuga”…

    https://www.geopolitica.ru/it/article/il-logos-di-cibele

    Con una sola domanda importante da porre (anzi due), anche se non necessariamente pregiudiziale (e questo per lo stesso motivo per cui Pasolini cercava un rapporto possibile col radicalismo di destra, a suo tempo), e cioè la seguente:

    “Con queste vostre considerazioni profonde – caro Dugin (e altri) – state legittimamente cercando di presentare e affermare (da parte vostra, s’intende) un “postfascismo” esoterico contemporaneo che, salvando alcune tesi ideologiche sicuramente attraenti e intriganti, come la cosiddetta “Via della Mano Sinistra” di Evola (cfr. Cavalcare la tigre, 1961), vada ad attaccare da destra i postulati di fondo del pensiero unico dominante, oppure invece state semplicemente cercando di sdoganare – una volta di più – un “criptofascismo” nascosto che al momento buono salterà fuori, aggressivo, per incatenare e imbrigliare ogni possibile deriva “a sinistra” di questa critica radicale di fondo del pensiero unico dominante?

    Perché è proprio questa la grande domanda che ci si pone da sempre, di fronte al “sansepolcrismo perenne” con cui ci troviamo a che fare da più di cent’anni… “possiamo fidarci di voi?”.

    E questo non da un punto di vista semplicemente contingente o strategico (o anche soltanto tattico, è ovvio), ma proprio da un punto di vista ideologico e direi “metafisico”, se così di può dire: esiste cioè un qualche tipo di rielaborazione dialettica dei principi e dei dogmi del “tradizionalismo integrale”, a destra, oppure si tratta soltanto di operazioni di marketing di facciata, dietro le quali si nasconde sempre la solita pappa, quella di una reazione trita e ritrita di passatisti nostalgici e senza futuro?

    Perché la possibilità di un “incontro” fra radicalismi antitetici è certamente presente, ora più che mai, e forse anche auspicabile… ma solo se sappiamo bene con chi abbiamo a che fare e quali sono i rispettivi orizzonti ideologici di riferimento: altrimenti si tratterà, come al solito, di un sogno mancato, e ci ritroveremo tutti, di nuovo, ad affondare nel fango di una palude infinita, senza più vie d’uscita né speranze di sorta per l’avvenire.

    Tutto questo a parziale commento “a latere” di questa bella riflessione in materia, e nient’altro.

    Forse mi sbaglio… o forse no, invece.

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