Sarei in linea teorica ma anche pratica assolutamente favorevole all’obbligo vaccinale, perché penso che il bene pubblico e, in particolare, la salute pubblica (cioè di tutti…), abbiano senz’altro la priorità rispetto alle pur legittime posizioni o esigenze personali. Del resto, “la libertà – come diceva un grande cantautore italiano – non è star sopra un albero, non è neanche il volo di un gabbiano, libertà è partecipazione”.
Giustissimo. Ciò significa che la libertà personale, in una comunità, finisce dove inizia la libertà degli altri all’interno di un sistema di regole condivise. E la libertà e la sicurezza della collettività rappresentano senza dubbio il bene supremo, perché solo queste possono garantire anche la libertà delle singole persone, che non potrebbe neanche esistere se non esistessero e non fossero garantite le prime. O meglio, se ciascuno di noi venisse meno a quel patto che poi, nella concretezza politica, è rappresentato dalle Costituzioni degli Stati. E, insisto, quella italiana è, allo stato delle cose, una delle più avanzate del mondo.
Ebbene, credo che questo fondamentale principio sia stato sostanzialmente contraddetto in questa fase di crisi pandemica. Il governo (i vari governi) si è di fatto sollevato delle proprie responsabilità delegando la campagna di vaccinazione (la produzione dei vaccini) ad aziende private, peraltro straniere, le famose multinazionali del farmaco, le quali a loro volta si sono comportate in maniera analoga scaricando ogni responsabilità di eventuali effetti collaterali provocati dai vari vaccini sui cittadini chiamati, all’atto stesso della vaccinazione, a sottoscrivere una dichiarazione in cui le aziende si sollevano, appunto, da ogni responsabilità in tal senso.
Insomma, i profitti sono i miei ma se ti succede qualcosa il problema è tuo. Alla faccia della deontologia professionale. Così son capaci tutti.
Non è un belvedere, soprattutto perché parliamo di multinazionali farmaceutiche che in molte occasioni (documentate e denunciate pubblicamente più volte) sono state protagoniste di speculazioni ai danni dei cittadini e di sperimentazioni farmacologiche su popolazioni di paesi del terzo mondo (in questo modo di operare c’è anche un razzismo di fondo neanche tanto velato…) che hanno causato in alcuni casi delle vere e proprie tragedie.
Tutto questo non ingenera secondo voi ragionevoli dubbi e perplessità in alcune (molte) persone? Direi che è più che comprensibile e reagire tacciando chi nutre tali perplessità di essere una specie di troglodita, cavernicolo, un analfabeta disfunzionale responsabile della diffusione del virus non mi sembra proprio il modo migliore, non dico per convincerlo a vaccinarsi, nonostante tutto, ma anche solo per avvicinarlo, per aprire una riflessione equilibrata e razionale sul da farsi, e quindi anche (ma non solo…) sulla necessità di vaccinarsi, per lo meno per alcune fasce consistenti della popolazione.
Il governo (e l’apparato mediatico al seguito) cosa ha fatto e cosa sta facendo? Non potendo obbligare per legge a vaccinarsi – per la semplice ragione che il vaccino non è di stato e non è stato testato da un istituto statale preposto e quindi l’obbligo sarebbe palesemente anticostituzionale – dribbla l’ostacolo imponendo di fatto la vaccinazione attraverso il ricatto dell’esclusione sociale e attraverso una campagna di criminalizzazione di chi sceglie di non vaccinarsi. Un atto, nello stesso tempo, di de-responsabilizzazione politica e di pressione indebita sui cittadini.
Cosa ben diversa sarebbe stata se fosse stato lo Stato stesso a produrre un vaccino, e non una multinazionale straniera. A quel punto il governo, assumendosene la responsabilità di fronte al Paese e in assenza (ovviamente) di qualsiasi scopo di lucro, avrebbe potuto e anche dovuto imporre l’obbligo vaccinale ai cittadini, per le ragioni spiegate nell’incipit di questo articolo, senza trovarsi nella condizione di imporre il vaccino attraverso un sostanziale quanto indecoroso ricatto morale, psicologico e pratico.
Rammento che chi scrive, come ampiamente noto, non è un certo un detrattore del ruolo dello Stato (e quindi del pubblico). Al contrario, proprio perché ne è un sostenitore, trova che quanto stia accadendo sia un impoverimento del ruolo e della funzione che sarebbero di sua competenza oltre che un sostanziale cedimento agli interessi e alle logiche del privato e del mercato. Non che la cosa mi sorprenda – siamo in regime capitalistico – però è bene avere il quadro ben chiaro delle cose.
Ricordate quanto tutti più o meno ripetevano durante i primi mesi della pandemia? “Questa crisi dovrà servirci a capire quali sono le vere priorità, non il profitto, non l’arricchimento personale, non le “esigenze del mercato”, ma la salute e il benessere pubblico, la solidarietà, lo spirito comunitario”.
Se fossimo stati coerenti con quelle dichiarazioni e quegli appelli ripetuti in ogni dove, avremmo dovuto, avrebbero dovuto (i governi, gli stati, le classi politiche dirigenti) fin da subito dire una cosa chiara: la salute e quindi la sanità pubblica costituiscono il mattone fondamentale di ogni società civile degna di questo nome e di conseguenza mettere in campo un grande progetto, di portata mondiale, per destinare risorse ingenti alla sanità (pubblica), alla ricerca scientifica (pubblica), alla medicina di base (pubblica), alla costruzione di ospedali, presidi sanitari territoriali, alla produzione e all’acquisizione di macchinari, all’assunzione e alla formazione di personale medico e paramedico altamente specializzato.
La risposta a tutto ciò sono stati i pochi spiccioli destinati alla sanità contenuti nel Recovery Fund, come se nulla fosse accaduto.
Quel grande teorico progetto non è mai partito (e non c’era neanche l’intenzione di farlo partire…) e si è scelto di andare spediti verso i vaccini affidandosi in toto alle grandi multinazionali del farmaco. Del resto non c’era neanche alternativa, nel momento in cui la sanità e la ricerca scientifica pubblica erano state da tempo smantellate. Non ovunque però. A Cuba, dove fuori da ogni retorica ideologica c’è uno dei sistemi sanitari pubblici più avanzati del mondo (riconosciuto a livello internazionale), è stato prodotto un vaccino di stato (che non è detto sia infallibile o perfetto, ma qui non stiamo discutendo di questo…) che però qui da noi non è utilizzabile e non è giudicato affidabile (così come quelli russo e cinese). Le ragioni che impediscono l’utilizzo di quei vaccini sono di ordine scientifico o geopolitico? A voi la risposta ma questo è ancora un altro discorso.
E quindi, dicevo, la corsa ai vaccini come unica percorribile soluzione nel contesto dato. Non che sia sbagliato in linea di principio, sia chiaro, lavorare alla ricerca del vaccino e soprattutto di quello migliore, ma contestualmente a quanto detto poc’anzi e, soprattutto, al di fuori di ogni logica di mercato.
E’ chiedere troppo? Può darsi, però qui stiamo cercando di riflettere ad alta voce per provare a riportare la discussione su un piano quanto più possibile lucido e razionale ed evitare l’ennesima spaccatura fra le persone, l’ennesima guerra fra poveri (vaccinati vs non vaccinati) che potrebbe avere effetti devastanti dal punto di vista sociale. La domanda da porsi è sempre la stessa: a chi giova tutto ciò?
P.S. continuerò la riflessione in tema in un successivo articolo.
(Fabrizio Marchi, candidato, come indipendente, alle prossime elezioni amministrative di Roma, come consigliere comunale, per il Partito Comunista guidato da Marco Rizzo)
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